Loud quitting: di cosa si tratta
Se avevi da poco iniziato a comprendere concetti come Great Resignation e quiet quitting, forse ti starai chiedendo cos’è la loud resignation, meglio nota come loud quitting. Tecnicamente il loud quitting è l’esatto opposto del quite quitting. Il quite quitting presuppone una perdita di interesse verso il proprio lavoro fino a dare le dimissioni senza troppo clamore, per andare in cerca di un lavoro più coinvolgente e motivante. Al contrario, le dimissioni rumorose sono quelle in cui l’impiegato fa sentire a gran voce il proprio malcontento, lamentandosi con il capo di tutto ciò che non va.
Il loud quitting è una tecnica per ottenere un trattamento migliore?
La differenza tra quiet e loud quitting risiederebbe, quindi, nell’atteggiamento: nel primo caso passivo-aggressivo, nel secondo aggressivo e basta. Se non fosse che il loud quitting è considerato una nuova tendenza professionale. Sarebbe una tecnica che consiste nell’affermare in modo plateale cosa non va nel proprio ruolo, non con l’intento di lasciare il lavoro, piuttosto con l’obiettivo di tenerselo, acquistando qualche beneficio in più. L’idea alla base di questa tecnica, infatti, è di attrarre l’attenzione del proprio datore di lavoro che, messo di fronte a una rimostranza pubblica che coinvolge i colleghi e gli altri impiegati, deve per forza ascoltare le rivendicazioni del loud quitter.
L’impiegato che “alza la voce” lo fa di solito per ottenere benefici concreti: un aumento di stipendio, flessibilità di orario, garanzie di welfare. Si dà il via, in questo modo, a una negoziazione tra le parti. Da un lato il datore di lavoro cerca di non perdere un altro impiegato, dopo la diaspora dovuta alla Great Resignation. Dall’altro, l’impiegato usa questa situazione a proprio vantaggio, cercando di spuntare qualche benefit o privilegio in più.
Le radici alla base del loud quitting
Non sempre, però, il loud quitting è una tecnica studiata a tavolino per ottenere qualcosa. In molti casi è una conseguenza di un disagio reale. La persona che lavora in azienda esprime un malessere che riguarda l’ambiente di lavoro, la relazione con i colleghi, il modo in cui i superiori trattano i subalterni, le richieste eccessive, gli straordinari non retribuiti. In generale si lamenta di una gestione che non accoglie i bisogni e le esigenze del singolo ma si preoccupa solo della produttività. Arriva un momento in cui l’impiegato non ce la fa più e denuncia la propria condizione, spesso anche in modo pubblico, attraverso i social network o altri canali mediatici, con il fine di screditare l’azienda.
Pro e contro di una scelta discutibile
Se consideriamo il loud quitting con questa seconda accezione di manifestare un malessere, è una scelta che può comportare vantaggi e svantaggi, sia per l’individuo che per l’azienda.
Pro e contro del loud quitting per il dipendente
Tra i vantaggi per il lavoratore, c’è la possibilità di far sentire la propria voce e di denunciare situazioni di ingiustizia o di disagio. In questo modo, si può contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica e a fare pressione sull’azienda affinché prenda provvedimenti per migliorare la situazione. Ci sono, però, anche degli svantaggi da considerare. In primo luogo, il loud quitting può avere un impatto negativo sulla propria reputazione professionale, in quanto può essere interpretata come una forma di immaturità o di irresponsabilità. Inoltre, può comportare la perdita di contatti professionali importanti e di opportunità di lavoro future.
Pro e contro del loud quitting per l’azienda
Anche per l’azienda, il loud quitting può comportare conseguenze negative. Innanzitutto, può creare un clima di tensione e di conflitto tra i dipendenti, compromettendo il flusso di lavoro e la produttività. Inoltre, può comportare una perdita di immagine, specialmente se la questione viene amplificata dai media. L’unico vantaggio avviene in quei casi in cui a dimettersi sono gli impiegati che già in passato si sono più volte dimostrati problematici.
Come gestire un episodio di loud quitting se sei un’azienda
Quando un dipendente arriva a esprimere in modo dimostrativo e plateale la propria frustrazione vuol dire che non sente di avere, all’interno dell’azienda, altri canali di comunicazione o percepisce questi strumenti come inefficaci. Per prima cosa, in questo caso, sarà l’azienda a doversi mettere in discussione e chiedersi se sta facendo tutto ciò che è in suo potere per creare un ambiente di lavoro sereno e accogliente, in cui viene praticato l’ascolto dei bisogni degli impiegati.
Essere flessibili verso i propri dipendenti, dare e chiedere regolarmente feedback sono pratiche che contribuiscono a garantire un ambiente lavorativo felice per i propri dipendenti. Non smetterò mai di ripeterlo: quando i dipendenti sono felici e stanno bene al lavoro, sono portati naturalmente a condividere i valori dell’azienda e ad aumentare la produttività. È importante che le aziende portino avanti con i propri dipendenti un dialogo, in cui discutere anche delle aspettative del singolo e degli obiettivi condivisi.
Cosa fare se sei un loud quitter
Se stai per dare delle “dimissioni rumorose”, potresti valutare altri modi di far valere le tue ragioni. Ecco alcuni esempi.
- Potresti rivolgerti all’ufficio Risorse Umane della tua azienda e informarti sui diritti di cui non stai usufruendo ma che l’azienda garantisce.
- Sempre in HR potresti esprimere qualche disagio e sondare il terreno. Se sei un impiegato modello, difficilmente l’azienda vorrà perderti.
- Chiedere un aumento di stipendio al tuo diretto superiore è una possibilità che puoi valutare, soprattutto se è da tanto che non ne ricevi uno. Attenzione a millantare un’offerta di lavoro inesistente da parte di un’altra azienda: è una tattica che potrebbe ritorcersi contro di te.
- Fare un percorso di career coaching può essere un modo di vagliare le possibilità che hai a disposizione e decidere in modo più consapevole e meno istintivo come procedere.