A partire dal 2020 le norme sanitarie e le restrizioni per il Covid-19 hanno reso necessario, un po’ in tutto il mondo, il lavoro da remoto. Nelle aziende, cominciando da quelle degli Stati Uniti, si è iniziato a parlare molto di flessibilità come di un elemento che contribuisce a rendere virtuose le realtà lavorative che operano in vari settori.
Perché molte aziende hanno deciso di abbracciare la flessibilità
In un modello di lavoro ibrido, ossia con una prestazione in parte in presenza, in parte da remoto, la flessibilità è diventata un valore aziendale per 3 ragioni:
- La maggior parte delle aziende ritiene che avere dipendenti disposti a lavorare su un arco temporale di ventiquattr’ore, sette giorni su sette, possa favorire la produttività.
- Molte aziende hanno accolto le richieste dei giovani lavoratori, in particolare i Millennials, che hanno fatto della flessibilità una condizione non negoziabile per evitare di lasciare il posto di lavoro, sull’onda del trend iniziato con la Great Resignation.
- Alcuni leader ritengono che i dipendenti ai quali è garantita la flessibilità al lavoro sono più soddisfatti perché hanno un migliore equilibrio tra vita privata e vita professionale.
Flessibilità: un concetto su cui le aziende non hanno le idee chiare
Il concetto di flessibilità in campo professionale è vago e può significare cose diverse a seconda del contesto e del tipo di azienda. Un paio di casistiche:
- Per molte aziende promuovere la flessibilità è coinciso con la volontà di venire incontro alle esigenze familiari dei propri dipendenti, accordando per esempio permessi speciali per visite mediche o impegni religiosi.
- Per altre aziende la flessibilità si è tradotta in orari meno rigidi, con la possibilità per esempio di anticipare la pausa pranzo o di concordare orari diversi, purché venissero rispettati gli impegni.
Ci sono state aziende, invece, che si sono rifiutate di concedere la flessibilità credendo che questa avrebbe portato a uno stato di anarchia, in cui ogni dipendente avrebbe potuto fare quello che voleva, e a un rallentamento della produzione.
La flessibilità intesa come andare incontro alle esigenze dei dipendenti
Le aziende impostano la campagna di flessibilità su due aspetti:
- Specifici accordi in ambito welfare, come malattie o cura dei figli;
- Lavoro da remoto garantito, in modo da bypassare i limiti della distanza fisica.
La prima tipologia è quella più diffusa perché si ritiene che sia più vantaggiosa per i dipendenti, dal momento che è legata al loro benessere psicofisico. Questo approccio si profila come la risposta dell’azienda a una precisa richiesta del dipendente su tempo libero, turni, carico di lavoro, esigenze personali o familiari. Ogni caso va valutato singolarmente e deve essere approvato o meno dall’azienda, in una dinamica che ricalca quella padre-figlio, con l’azienda che deve accordare il permesso al proprio dipendente. Questo tipo di flessibilità ha indubbi aspetti positivi per chi ne beneficia ma ha anche una serie di risvolti negativi. Uno di questi è che si crea una divisione nel personale tra gli impiegati che chiedono la flessibilità e gli impiegati “standard”, che hanno turni di lavoro fissi e stabiliti e difficilmente chiedono di accedere agli strumenti della flessibilità.
La flessibilità è davvero vantaggiosa per i dipendenti?
Nella maggior parte dei casi le aziende abbracciano la flessibilità sulla carta ma poi, al momento di metterla in pratica, fanno fatica a fornire ai dipendenti strumenti validi o semplicemente a mantenere le promesse. Alcuni studi statistici hanno evidenziato che i dipendenti che usufruiscono degli strumenti di flessibilità, che le aziende mettono loro a disposizione, hanno stipendi più bassi rispetto a chi non lo fa e non avanzano nella loro carriera lavorativa. A essere penalizzate sono quasi sempre le donne che, nel loro ruolo di madri o caregiver, hanno bisogno di avere orari flessibili o di assentarsi dal lavoro per motivi personali. In cambio di queste agevolazioni, le impiegate rinunciano più o meno consapevolmente alla possibilità di fare carriera e di ottenere stipendi pari a quelli dei colleghi uomini. Questo quadro spiega come mai, anche quando gli strumenti esistono e le aziende li forniscono, i dipendenti sono riluttanti a usufruirne.
La flessibilità non è un privilegio
Nell’ottica di garantire una vera flessibilità ai propri dipendenti, le aziende dovrebbero fare un passo in avanti nella loro cultura aziendale. La flessibilità non dovrebbe essere considerata una merce di scambio, un atto paternalistico e neppure un privilegio. Essa dovrebbe essere uno degli elementi che garantiscono la felicità al lavoro. Ci sono moltissimi studi che hanno dimostrato come i dipendenti più soddisfatti nel loro ambiente lavorativo siano anche i più fedeli, motivati e produttivi. Anche investire sulle donne, che sono una forza lavoro trainante e sono i soggetti che più necessiterebbero di flessibilità, potrebbe essere per le aziende una mossa vincente. Sono tutte valutazioni con cui il mondo aziendale si dovrà misurare, presto o tardi. Noi di AdF auspichiamo che avvenga il più presto possibile. Per questo motivo abbiamo sviluppato dei servizi specifici per le aziende. Se vuoi diventare un imprenditore o un’imprenditrice del futuro, possiamo essere al tuo fianco. Ti aspettiamo in AdF!