Già da diversi anni si parla della possibilità di portare la settimana lavorativa dei lavoratori dipendenti da cinque a quattro giorni, senza che questo comporti una decurtazione dello stipendio. Se ne parla da quando ci si interroga sulla felicità delle persone sul posto di lavoro come fattore che incide sulla performance del singolo e, quindi, sulla produttività dell’azienda. Dopo il lockdown e il trend noto come Great Resignation, che ha portato moltissime persone, soprattutto Millennials, a dimettersi dal proprio posto di lavoro, è risultato chiaro che il senso di benessere è diventato una priorità. Così, anche il tema della settimana lavorativa corta è tornato in auge, come una possibile risposta alla domanda di tempo di qualità che le persone desiderano dedicare ai propri cari e alle proprie passioni.
È davvero necessario lavorare 5 giorni a settimana?
Il sistema della settimana lavorativa standard di 40 ore, distribuite sui cinque giorni feriali con il fine settimana libero, è considerato piuttosto antiquato. In Italia è stato approvato negli anni ’20 del Novecento e, all’epoca, a fronte di orari di lavoro massacranti, fu una conquista per i diritti dei lavoratori. A distanza di un secolo, molte cose sono evidentemente cambiate. La maggior parte dei lavoratori non svolge più compiti fisicamente sfibranti. Inoltre, la tecnologia ha permesso di alleggerire il lavoro e di velocizzare procedimenti e tempistiche, in ogni ambito professionale. A cambiare è stata anche la convinzione che a un maggior numero di ore corrispondesse una maggiore produttività: questa equazione è stata messa in discussione e confutata, sulla base di studi ed evidenze. In alcune nazioni come la Svezia e la Nuova Zelanda, ci sono stati dei trial per introdurre la settimana corta e capire se potesse funzionare. I risultati degli esperimenti sono stati incoraggianti: la produttività ha avuto un’impennata fino al 40% in più e i lavoratori hanno riportato un accresciuto senso di benessere. Tuttavia, nonostante i dati statistici siano stati più che positivi, le grandi aziende fanno ancora fatica a uscire dal paradigma delle 40 ore lavorative settimanali, come se concederle fosse un privilegio.
Vantaggi della settimana lavorativa corta
Ci sono diversi dati oggettivi che giocano a favore di un orario lavorativo ridotto. Vediamo qualche esempio pratico.
- Riduzione dei costi. È facilmente intuibile comprendere che per le aziende è conveniente da un punto di vista dei costi ridurre la settimana. Se gli uffici sono chiusi per un giorno in più, questo significa meno spese di gestione. È una riduzione dei costi anche per i dipendenti: vengono ridotte spese come trasporti, pranzi fuori, caffè al bar.
- Aumento della produttività. L’abbiamo già anticipato: sembra un paradosso ma la settimana corta incide anche sulla produttività. Questo avviene per diversi motivi. Meno tempo si ha a disposizione per terminare un lavoro, più si è concentrati nel portarlo a termine. Inoltre, i lavoratori scontenti tendono a distrarre i loro colleghi, con inutile dispendio di tempo. Diminuendo i tempi, l’azienda ottiene lavoratori più focalizzati, grati e motivati.
- Impiegati più felici. Il weekend lungo dà modo alle persone di avere più tempo libero per stare con la famiglia, per organizzare un viaggio, per dedicarsi alle proprie passioni. Va nella direzione del cosiddetto work-life balance, l’equilibrio tra vita e lavoro che è un chiaro indicatore del benessere personale. È un bene anche per le aziende, perché è stato dimostrato che la felicità al lavoro incide sul grado di lealtà del lavoratore verso il datore di lavoro.
- Meno casi di burnout. Quando il senso di benessere degli impiegati diventa soddisfacente, ne giova anche la salute mentale. Nelle aziende che hanno sperimentato la settimana di quattro giorni lavorativi, sono diminuiti i casi di burnout e stress cronico dovuto al sovraccarico di lavoro. Il weekend lungo, infatti, consente alle persone di ricaricare le batterie più velocemente.
- Flessibilità come valore aggiunto. In un’epoca post pandemica, in cui molte persone hanno ricalibrato le proprie priorità, le aziende possono offrire la settimana breve come un elemento di flessibilità per invogliare i propri impiegati a restare e a non dare le dimissioni. Molte aziende che hanno offerto questo benefici ai loro dipendenti sono state in grado di attrarre giovani di talento, che sono entrati a far parte del loro organico.
Non solo vantaggi: i contro della settimana lavorativa corta
Per completezza di informazione e per valutare il tema nel suo complesso, bisogna analizzare anche gli svantaggi della settimana lavorativa ridotta a quattro giorni.
- È un modello non sempre applicabile. Non tutti i luoghi di lavoro si prestano a questo modello. Ci sono realtà lavorative dove la produzione non può fermarsi per un’intera giornata oppure dove c’è bisogno di una reperibilità continua. Si potrebbe pensare a turnazioni che consentano una copertura completa ma è un’opzione da valutare con attenzione, caso per caso.
- I turni di lavoro potrebbero essere più lunghi. Abbiamo detto che diminuendo i giorni, diminuiscono anche le ore. In realtà non è sempre così. Molte aziende, a fronte di uno stipendio che non varia, si aspettano che i propri impiegati recuperino le ore del giorno libero aggiuntivo portando l’orario di lavoro a dieci ore anziché otto. In questi casi, lo stress aumenta a tal punto che, nelle aziende in cui è entrata in vigore la prassi delle dieci ore, gli impiegati hanno chiesto di tornare alla settimana standard.
La settimana lavorativa corta è il futuro?
Finora ci sono stati trial ed esperimenti in alcuni Paesi, come quello recente in Gran Bretagna, per tastare il terreno e vedere se questo modello potrebbe essere praticabile su larga scala e sul lungo periodo. Lo scetticismo maggiore è arrivato, come ci si sarebbe aspettato, dai vertici aziendali, preoccupati che una riduzione delle ore lavorative possa impattare negativamente sull’andamento del business. Pur avendo a disposizione dati oggettivi che incoraggerebbero questa prassi, i grandi manager restano su posizioni tradizionaliste. C’è da notare che in molte realtà aziendali esiste una cultura del lavoro interiorizzata che potremmo definire “tossica”, ossia quella di misurare il valore in base alla performance. In molti casi, sono stati proprio i top manager a scegliere di non usufruire del benefit dei quattro giorni settimanali, temendo che lavorare di meno li avrebbe fatti apparire pigri e avrebbe minato la loro autorevolezza. I più felici sono stati gli impiegati in posizioni non strategiche, che hanno avuto più tempo per organizzare meglio la loro vita oltre il lavoro.
Anche in Italia le aziende proveranno a sperimentare la settimana di 4 giorni lavorativi? Per il momento sembra improbabile. Quello che è certo è che sempre più persone chiedono orari più flessibili, più giorni liberi, politiche di welfare più aperte e inclusive. Sono istanze che le aziende non possono ignorare perché la Great Resignation ha dimostrato che, quando le priorità delle persone cambiano, devono essere le aziende ad andare incontro alle esigenze dei dipendenti.
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