Com’è cambiato il mondo del coaching dagli anni ’70 a oggi

Chi è il coach e a cosa serve il coaching

Prima di parlare di com’è cambiato il coaching, partiamo dal definire cos’è e cosa fa un coach. Il coach è un professionista d’aiuto che ha una formazione specifica nell’aiutare i clienti — detti coachee — a diventare più consapevoli dei propri punti di forza e di debolezza, a mettere a fuoco e definire i propri obiettivi e a compiere i passi necessari per raggiungerli. Il coaching è una disciplina che si basa su obiettivi condivisi e concordati tra il coach e il coachee e orientata al risultato, in un processo nel quale il coach facilita cambiamenti rilevanti per il coachee incoraggiandolo a far emergere le proprie risorse e il proprio potenziale e, in tal modo, a conoscersi meglio.

I percorsi di coaching possono essere finalizzati a obiettivi di varia natura nei più svariati ambiti. Chi si rivolge a un coach di solito si sente “bloccato” in un punto del proprio percorso oppure a un bivio nella propria vita. Compito del coach non è fornire soluzioni ma, attraverso un processo maieutico, portare il coachee a formulare le soluzioni che ritiene migliori per la sua situazione.

L’industria del coaching negli Stati Uniti negli anni ’70-’90

Il coaching, come industria, ha avuto un notevole sviluppo negli ultimi cinquant’anni. A partire dagli anni ’70 negli Stati Uniti, si è affermato come strumento di crescita personale e di leadership aziendale, attraverso corsi di gruppo e lezioni frontali. Solo negli anni ’80 si sono avuti i primi percorsi individuali. Negli anni ’90 negli Stati Uniti sono nati associazioni e istituti, dapprima intorno a figure di spicco, successivamente concentrandosi sulle diverse tecniche. È stato in questi anni che il coaching si è configurato come disciplina a sé stante e, dagli Stati Uniti, si è diffuso in Europa.

Primi anni 2000: il coaching arriva in azienda

Ho iniziato a interessarmi al coaching nel 2005, in un periodo in cui era molto poco conosciuto, non solo in Italia. Nel 2007 sono diventata HR manager di una grande azienda informatica e, siccome avevo già acquisito il mio primo diploma di coach professionista, l’azienda mi inviava periodicamente a convegni e tavoli di discussione in giro per il mondo. Erano eventi internazionali che avevano l’obiettivo di potenziare skills ritenute essenziali per i manager, come la leadership e l’empowerment. All’epoca, infatti, il coaching era utilizzato soprattutto in ambito executive e corporate con l’obiettivo di formare leader più capaci e sempre più performanti. Il life coaching era decisamente poco considerato, come se potesse esistere una scissione tra il manager e la persona dietro a quel ruolo.

L’affermarsi del life coaching

Se le aziende fossero state più lungimiranti si sarebbero accorte che in ambito lavorativo non c’erano troppe lacune da colmare: i manager e le manager erano ineccepibili sul piano professionale. Peccato che, una volta fuori dall’ufficio, non fossero in grado di performare allo stesso modo. In particolare, le donne avevano vite private disastrose, finivano con persone sbagliate, magari già impegnate e si ritrovavano a condurre un’esistenza solitaria e infelice. I tempi per il life coaching erano ormai maturi. Quando ho co-fondato Accademia della Felicità nel 2011, tuttavia, l’ambito in cui si lavorava di più come coach era ancora quello aziendale. Le grandi società ci chiamavano per offrire percorsi individuali ai propri dipendenti, sui temi del talento e del potenziale. Capitava di frequente di lavorare anche su obiettivi più quotidiani, su argomenti come l’assertività, l’efficacia personale, l’autostima.

La diffusione del coaching dopo il 2010

In Italia la bolla del coaching è esplosa in tempi relativamente recenti, dal 2015 in avanti. Come ADF siamo stati una delle prime scuole a offrire un master professionalizzante. All’inizio si iscrivevano al master per lo più persone che volevano approfondire tematiche di crescita personale, con l’obiettivo di conoscersi meglio e comprendere in modo più approfondito i propri meccanismi. Poi le nostre classi si sono affollate di persone insoddisfatte del proprio lavoro, che cercavano una professione alternativa capace di aiutare il prossimo, che quindi appagasse anche il desiderio di dare un contributo concreto alla società. Il coaching era percepito come un ambito ancora inesplorato e, sebbene nel mondo anglofono si stabilissero linee guida per la professione di coach, in Italia c’era ancora confusione al riguardo.

Il coaching si trovava in un limbo e questo lo esponeva a critiche, anche piuttosto accese, da parte di altri professionisti d’aiuto più strutturati. In realtà, un bravo coach conosceva i confini in cui doveva muoversi e questo faceva sì che i clienti avessero una consapevolezza chiara sull’efficacia e i campi di utilizzo del coaching. Per fare un esempio, in ADF abbiamo avuto moltissimi clienti che seguivano già un percorso di psicoterapia e si rivolgevano a noi per lavorare su obiettivi molto specifici e concreti.

Gli anni ’20, tra crescita esponenziale e mancanza di supervisione

Gli anni della pandemia sono stati decisivi per la diffusione del coaching. Molte persone hanno pensato di reinventarsi come coach, spesso auto-proclamandosi tali o iscrivendosi a scuole di dubbia professionalità, che elargivano un diploma a chi frequentava un paio di weekend online a costi esorbitanti (certo, sono casi limite ma ho visto anche questo). Sono spuntati coach per qualunque ambito, con nomi fantasiosi e con gli approcci più svariati. In linea di massima, la pluralità di voci è positiva ma in questo caso la mancanza di una regolamentazione ha favorito il proliferare di scuole di formazione improvvisate che hanno fatto diplomare coach del tutto impreparati alla professione.

In Italia ci sono associazioni ed enti certificatori che hanno stabilito linee guida e un codice etico a cui i coach dovrebbero attenersi. Si tratta, appunto, di indicazioni. Se il professionista è scrupoloso, si accorge di avere una lacuna e tenta di colmarla. È capitato spesso che coach diplomati in altre scuole si siano rivolti a noi per fare un tirocinio prima di iniziare la professione vera e propria. Ma in ADF non ce la sentiamo di garantire la qualità del lavoro di persone che non abbiamo formato attraverso il nostro metodo.

Il master in coaching di ADF

Quello che continuiamo a fare, attraverso il nostro master in coaching, è offrire un percorso altamente professionalizzante, che include ore d’aula, tirocinio con supervisione, orientamento alla professione e molto altro. Ci teniamo che i coach che si diplomano nella nostra scuola siano professionisti preparati e competenti, consapevoli del loro ruolo e degli ambiti in cui possono operare. Non è così, però, in tutte le scuole e prevedo che a breve ci sarà una regolamentazione a livello nazionale, per evitare non solo che il mercato del coaching imploda ma anche per salvaguardare e definire meglio la figura del coach.

Se vorresti rivolgerti a un coach ma non sai come orientarti, cerca  di capire quale approccio ha e qual è la sua formazione. E se comincia a influenzare le tue scelte o a indagare traumi del passato, interrompi subito il percorso: il coach non è né un mentore né un consulente né uno psicologo.

Dove va il coaching?

È possibile che in futuro al coach sia richiesto di acquisire e inglobare competenze diverse. E, se sarà così, forse anche il termine coach cambierà significato o sarà sostituito con altri appellativi. In ogni caso, in ADF saremo pronti ad accogliere il cambiamento, che resta pur sempre una nostra prerogativa.

Se vuoi intraprendere un percorso con uno dei nostri coach, da’ un’occhiata alla nostra offerta. Ti aspettiamo in ADF!

Francesca Zampone coach

Autore: Francesca Zampone

Nel 2011 ho fondato Accademia della Felicità. Sono Coach dal 2005 e mi occupo di Career Coaching e Talent Management dallo stesso anno. Mi sono occupata a lungo di Diversity e Change Management in ambito risorse umane fino a diventare la responsabile risorse umane della mia casa discografica del cuore. Negli ultimi anni mi sono specializzata in Coaching delle relazioni e ho sviluppato un sito dedicato alle mie attività personali: www.francescazampone.com. Vivo e lavoro a Milano, ma Londra è la mia città del cuore. Sono appassionata di comportamento umano, musica, letteratura, cinema.

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