Come usare l’invidia in modo costruttivo

L’invidia è una delle emozioni che consideriamo negative e anche quella che, forse più di tutte, fatichiamo ad ammettere. L’invidia è l’opposto della gratitudine, perché implica l’incapacità, si spera temporanea, di essere felici per il successo altrui e ingloba altre emozioni considerate negative, come l’avidità — il desiderio malsano di ottenere qualcosa che appartiene a qualcun altro — e il rancore — il risentimento “cieco” perché non si possiede ciò che è toccato a qualcun altro. Fin dall’infinito passato l’invidia ha mosso guerre e guidato uomini e donne tutt’altro che illuminati. L’invidia, insomma, ci rende persone peggiori. A meno che non la usiamo per conoscerci meglio.

Cos’è l’invidia e come si manifesta

Se volessimo darne una descrizione, potremmo dire che, quando proviamo invidia, scaturisce in noi una consapevolezza mista a risentimento rispetto a un vantaggio di cui gode un’altra persona. Al tempo stesso, tale consapevolezza genera una brama improvvisa di possedere quello stesso vantaggio. Detto in modo più semplice, l’invidia nasce quando vediamo qualcuno che ha qualcosa che a noi manca e che vorremmo tantissimo avere. È come un pungolo alla bocca dello stomaco e, contemporaneamente, una vampata di rabbia nella testa. La nostra reazione, quando proviamo invidia, può variare: possiamo restare in silenzio e lasciare che l’emozione ci consumi, oppure minimizzare il valore della persona che possiede quello che vogliamo, oppure ancora fare allusioni sarcastiche sul modo in cui la persona in questione ha ottenuto il beneficio che vorremmo avere anche noi.

Gli occhi, strumento dell’invidia

L’origine della parola invidia affonda le sue radici nel latino in + videre e vuol dire guardare male, di traverso o di sbieco. Gli occhi nell’invidia hanno una parte importante: ne sono lo strumento, sebbene non la causa. Siamo invidiosi perché veniamo sedotti dall’immagine delle cose. Se è vero che gli occhi sono lo strumento dell’invidia, c’è da chiedersi: cosa vediamo di tanto desiderabile da originare in noi un’emozione così devastante? La perfezione. O, meglio, l’illusione della perfezione. Perché le vite degli altri sono ben lontane dall’essere perfette. Abbiamo tutti la tendenza a mostrare solo una parte della nostra vita, quella che funziona, che è costellata di successi, di bellezza, di risultati raggiunti. Ci guardiamo bene dal mostrare ciò che non ci piace, il dolore, la frustrazione, i tentativi andati male. Vogliamo che affiori in superficie una patina di apparente perfezione. Gli occhi, dall’esterno, rilevano delle vite altrui soltanto quella superficie. Se ci pensiamo, gli occhi si rivelano uno strumento inefficace a sondare il fondo delle situazioni. Eppure, quell’apparenza, di cui i nostri occhi si nutrono, basta a far scattare in noi la molla del paragone: confrontiamo la nostra vita, o un aspetto di essa, con l’apparente perfezione della vita di qualcun altro. E iniziamo a covare: avidità, rancore, rabbia, gelosia. E più quel confronto ci fa sentire il senso di inadeguatezza, più l’invidia si acuisce e ci rende “brutte persone”.

Invidia o ammirazione?

Non è contemplato che le brave persone possano provare invidia per gli altri. Ecco perché l’invidia è un’emozione a cui non solo non ci abbandoniamo, ma che abbiamo molte resistenze a riconoscere. Quando proviamo invidia, ci sforziamo di sublimare, e ci convinciamo che ciò che stiamo sentendo non è altro che una profonda, seppur un tantino fastidiosa, ammirazione. Secondo il filosofo tedesco Søren Kierkegaard, l’invidia è ammirazione corrotta dall’orgoglio. Il bisogno di affermare sé stessi sopra gli altri trasformerebbe l’ammirazione in invidia. La differenza tra invidia e ammirazione è che, quando invidiamo una persona, bramiamo avidamente di essere al suo posto, mentre quando la ammiriamo, lo facciamo da lontano, da una distanza che non ci coinvolge da un punto di vista emotivo. È per questa ragione che l’invidia, quando non l’affrontiamo, ci porta ad affondare in altre emozioni etichettate come negative; l’ammirazione, al contrario, può addirittura elevarci. Questo spiega anche perché l’invidia ci provoca quasi un dolore fisico, ci fa male, e l’ammirazione ci fa provare un senso di ispirazione e appagamento.

A cosa “serve” l’invidia?

Se non si può evitare di provare invidia, si può imparare a farne un uso consapevole e forse anche “sovversivo”. L’invidia ci indica, allo stesso tempo, una mancanza e un desiderio. A innescarla è l’immagine di qualcosa di cui riteniamo di non essere forniti e che, all’improvviso, scopriamo di volere. Molto spesso, infatti, l’invidia è fonte di insight che possono anche spiazzarci, ci mostra bisogni e desideri che non combaciano con l’idea positiva che abbiamo di noi. Prima di fare l’esperienza dell’invidia, avevamo censurato quei bisogni e quei desideri perché ci negavamo di provarli. L’invidia porta a galla ciò che non abbiamo il coraggio di raccontarci.

Usare l’invidia per conoscerci meglio

Come possiamo comportarci di fronte all’invidia? L’invidia è pericolosa: se la lasciamo sedimentare, si trasforma da emozione passeggera a sentimento permanente, e inizia ad avvelenarci dall’interno. Ciò che possiamo fare, invece, è imparare a usarla in modo costruttivo. Per esempio, possiamo:

  • scegliere di non respingerla, di non giudicarla e, soprattutto, di non giudicarci per il fatto di essere invidiosi;
  • portare l’invidia alla luce del sole, passarci insieme un po’ di tempo, lasciarla decantare e poi, quando ci sembra di aver messo tra noi e la nostra emozione scomoda la giusta distanza, interrogarla;
  • chiederci: cosa ci sta comunicando? Non sempre la risposta ci piacerà ma è il punto di partenza per iniziare a lavorarci su;
  • usare l’invidia come una spinta per arrivare dove vogliamo e per ottenere ciò che vogliamo, ossia nel punto in cui si trova la persona che ha provocato l’innesco della nostra invidia;
  • usare l’invidia come strumento di competizione “sana”: se non ce ne lasciamo schiacciare, il confronto può essere un modo per farci compiere delle azioni che in condizioni diverse non faremmo, perché tendiamo ad accontentarci.

Se superiamo la fase di negazione e la accogliamo, possiamo trarre dall’invidia molte informazioni utili. L’invidia può raccontarci non solo dei nostri bisogni e dei nostri desideri più inconfessabili ma può farci da traino. Cosa mi manca? Cosa desidero? Partiamo da queste domande e sforziamoci di rispondere in modo sincero. A quel punto, non ci resta che incanalare la rabbia che scaturisce dall’invidia per costruire il nostro futuro e migliorare la nostra realtà. Solo così possiamo usare l’invidia per trasformarla in un trampolino.

Giovanna Martiniello

Autore: Giovanna Martiniello

Sono un’introversa ipersensibile con la passione per le storie. Ho l'inquietudine tipica di chi è vissuto a lungo su un suolo vulcanico. Vivo in collina ma non potrei stare senza la città. Nel 2017 ho frequentato il Master in Coaching di Accademia della Felicità, ho mollato il posto fisso e mi sono abilitata come coach. Mi occupo di scrittura autobiografica per la comunicazione, integrando la metodologia del coaching nelle mie competenze di scrittura.

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