Si può essere felici anche dopo aver abbandonato il tanto agognato posto fisso? Nella prima parte di questo articolo Giovanna ci ha raccontato il percorso che l’ha portata a iscriversi al Master in Coaching di ADF e poi a lasciare il suo lavoro per seguire un sogno. In questo nuovo post ci racconta cosa è successo dopo…
Il blog e il mio alter ego
Un giorno ho scritto una mail a Francesca Zampone, master coach e fondatrice di AdF, per chiederle dei consigli di lettura. Alla fine del messaggio citavo un immaginario scambio di battute tra me e Mortifera, la mia parte oscura. E Francesca mi ha risposto dandomi un compito: aprire un blog sulla piattaforma Medium e iniziare a scrivere dei post su Mortifera. Siccome soffro della sindrome della studentessa modello, non ho osato sottrarmi alle mie responsabilità; ho scritto malvolentieri un post, ho inviato il link a Francesca accompagnandolo con una frase sbrigativa: i compiti li ho fatti, quindi non parliamone più. E invece, alla prima occasione, Francesca ha raccontato di Mortifera alla classe del Master. Ne è venuta fuori una sessione di coaching collettivo in cui i miei compagni mi hanno assegnato altri compiti. In poco tempo mi sono ritrovata ad avere un avatar appositamente realizzato da un’illustratrice e a dialogare in modo scanzonato con la mia Mortifera interiore. Con il suo proverbiale intuito e la sua affinata esperienza di talent coach, Francesca ha saputo individuare l’esercizio di cui avevo bisogno. Mettere per iscritto le accuse e le critiche che muovo a me stessa, sotto forma di un alter ego in versione dark che si esprime con un linguaggio sboccato e denigratorio mi ha permesso, infatti, di prendermi gioco di una serie di convinzioni limitanti. Dare corpo e voce alla parte di me che tende sempre a svalutarmi mi ha consentito di analizzare le mie paure rendendole meno spaventose, di mettermi dalla parte del mio darkside e guardarmi dalla sua prospettiva, per poi imparare a guardarmi con rinnovata benevolenza e una maggiore tenerezza. Mettere nero su bianco i propri motivi di sofferenza, siano essi convinzioni radicate o paure irrazionali, permette di procedere a un’analisi decostruttiva, scandagliando ogni elemento in cerca della sua origine e della sua profondità. Ho scoperto (sorpresa!) che molte delle cattiverie che mi rivolge Mortifera sono eredità di discorsi che mi sentivo ripetere durante l’infanzia, che ho interiorizzato solo perché non possedevo gli strumenti per analizzarli con spirito critico. Ma ora, che sono adulta, sono in grado di ridimensionarli o di decidere semplicemente che non mi appartengono e, quindi, che non mi toccano. Inoltre, nei miei battibecchi con Mortifera, è venuta fuori una prepotente vena autoironica, che mi ha aiutata a ridere di me e delle mie paranoie. Quanti benefici da un solo esercizio di coaching!
Come matura una consapevolezza
Questo lavoro sulla mia autostima, iniziato col Master e proseguito col blog, mi ha portato come effetto collaterale a essere più consapevole dei processi insiti nella mia vita. Mano a mano ritrovo sempre più la connessione con la mia pancia, sede dell’intuito e della libertà di essere. E’ stato così che ho sentito profondamente che desideravo lasciare il mio lavoro. Quando nel 2015 mi sono rivolta a Danila con lo stesso obiettivo, l’ho fatto per i motivi sbagliati. Ora so che il lavoro era diventato il contenitore del mio disagio interiore, legato all’insoddisfazione, ai sogni repressi, a tutti gli aspetti di me che non mi sono mai concessa di vivere. Cambiare lavoro, all’epoca, non avrebbe attenuato il mio malessere. Dovevo innanzi tutto avere il coraggio di guardare nel groviglio di emozioni accumulate nel cuore, prima ancora che nella testa. Dovevo affrontare il drago e gridargli in faccia che non avevo più paura, qualunque cosa fosse successa da lì in poi. Ho iniziato a mettere ordine nella mia vita partendo dagli elementi macroscopici. E sono partita proprio dal lavoro. Mi sono chiesta cosa mi rendesse così infelice e mi sono risposta che la tipologia del lavoro che svolgevo mortificava molti dei miei talenti facendomi sentire piatta e demotivata. In fondo era semplice: desideravo lasciare il mio lavoro perché quella non ero io. Restava però da affrontare la questione economica, non esattamente secondaria. Ho parlato, allora, con mio marito in modo molto schietto; abbiamo fatto per la prima volta un discorso di economia familiare rivolta al futuro. Ci siamo raccontati timori e sogni nel cassetto, progetti concreti e aspettative. Mio marito, che è un libero professionista e si è trovato più volte in passato ad affrontare periodi di magra, mi ha chiesto di avere fiducia in lui e nelle sue capacità di crescita professionale. Mi sentivo (quasi) pronta a saltare nel buio.
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