Qualche giorno fa mio marito Paolo mi ha raccontato con un candore un po’ divertito che alcuni amici ci avevano invitato a cena e che lui aveva declinato l’invito con la giustificazione che “Giovanna è un po’ asociale”.
«Non ci credo! Davvero gli hai detto così?»
«Certo, ho detto solo la verità. Perché, tu avresti accettato?»
La discussione è andata avanti in tono scherzoso, tra mie plateali richieste di divorzio (e ne avrei tutte le ragioni) e mutue frecciatine.
Il punto è che persino mio marito pensa (e dice in giro) che sono a-sociale: incapace di partecipare ai riti minimi della socialità. È una definizione che rifiuto. Ho semplicemente un carattere introverso. Con tutto ciò che ne consegue. Non esiste un’unica tipologia di introversione. Lo spiega bene Lavinia Basso che, nel primo dei suoi post sull’argomento, propone di mettere alla prova la propria tendenza all’introversione facendo un test della personalità. Il mio risultato è degno di una campionessa: sono introversa al 94%; solo un orso bruno avrebbe fatto meglio (o peggio?) di me. Ma no, niente ola, per favore. Essere introversi non è esattamente una cosa figa. O, almeno, non sempre.
(Con)vivere con un carattere introverso: le difficoltà
Sono sempre stata un tipo taciturno e riflessivo, prudente e posato: mai una parola fuori posto, mai uno slancio improvviso, mai nessuna pazzia. Che noia! Ho sempre invidiato le persone che sembravano a proprio agio in qualunque situazione, quelle che sapevano esattamente cosa dire e magari avevano la battuta pronta. Trovo molto faticoso il mio carattere, perché mi costringe a essere una maniaca del controllo. Un esempio? Prendiamo proprio il caso di un invito a cena. Che cosa carina, un’occasione per passare una serata in allegria e spensieratezza con persone piacevoli, giusto? Non per me. Per me cominciano le ansie. Nella mia testa si aprono le danze di domande e supposizioni:
Chi ci sarà? Quante persone conosco? Che tipo di rapporto ho con queste persone?
Sarà una cena in piedi o seduti? Se è una cena in piedi è meglio, posso girare nella stanza senza attirare l’attenzione. Speriamo che sia una cena in piedi.
Mi verrà chiesto di togliermi le scarpe? Se ci sarà da togliersi le scarpe devo mettermi qualcosa che copra le caviglie. Oh, e anche trovare dei calzini decenti. Anzi: meglio comprare dei calzini nuovi.
Cosa posso portare? Potrei preparare un piatto ma poi sembrerebbe che voglio rubare la scena alla padrona di casa e tutti si sentirebbero in obbligo di farmi i complimenti anche se il mio piatto non è piaciuto. Meglio il vino, sì. E se poi non lo bevono tutti? Oddio, sono vegana, come faccio a chiedere di preparare dei piatti vegetali senza apparire scortese?
Fino a che ora dovrò restare? Meglio prepararmi una scusa così se mi sento proprio a disagio posso dare un paio di gomitate a Paolo e magari andar via prima del dolce.
Ovvio, se a invitarmi a cena sono persone che conosco molto bene, cari amici, le mie paranoie sono molto più soft. Però ci sarà sempre una costante, qualunque sia la situazione sociale fonte di stress: farò tappezzeria, e se tutto va bene gli altri si dimenticheranno di me.
In qualunque contesto relazionale che comprenda la presenza di più di due persone oltre a me, io tendo a scomparire, non so introdurmi nei discorsi, a meno che non mi vengano rivolte delle domande dirette. Mi sembra che ciò che ho da dire non aggiungerebbe alcun valore alla conversazione, anche perché non ho reazioni immediate. Sono un tipo riflessivo, ho bisogno dei miei tempi per metabolizzare gli argomenti e farmi un’idea in proposito. E poi sono silenziosa, mi piace ascoltare e osservare le persone.
(Con)vivere con un carattere introverso: si può
Essere introversa non comporta solo rotture di scatole, ha dei vantaggi oggettivi. Alcuni esempi:
- Sono precisa e affidabile, perché non ne posso fare a meno. E questa è una caratteristica molto apprezzata in ambito lavorativo.
- Sono bravissima nell’ascolto attivo e sono un’osservatrice attenta, caratteristiche che tornano molto utili in certi tipi di professione e anche in sfere private, come le amicizie.
- Non temo la solitudine, anzi sto benissimo con me stessa (fin troppo) e riesco a godermi i momenti passati a leggere un buon libro o ad ascoltare musica. Non sento la necessità di riempire vuoti, quindi ad esempio non starei mai con qualcuno per paura di restare da sola.
Per vivere con un carattere introverso bisogna imparare a conoscersi molto bene, altrimenti si rischia di soccombere. Ecco le mie tecniche, sperimentate sulla mia pelle:
1. Individuare le situazioni che creano ansia o disagio. Esaminare tutte le casistiche nel dettaglio, chiedersi quale elemento scatena la reazione e lavorare su quello. Ad esempio, io non ho problemi a parlare davanti a 100 persone, ho problemi a parlare davanti a 100 persone di un argomento su cui non mi sento preparata. Quindi, se studio e mi sento sicura, sono in grado di affrontare una platea.
2. Allenare l’assertività, imparando a dire di no senza temere il giudizio degli altri. Non è menefreghismo, è sopravvivenza. Se so che andare a quella cena mi farà sentire in gabbia per 3 ore, decido di non andare. Checché ne pensino gli altri.
3. Trovare un’àncora. Nei casi in cui non si può proprio dire di no, può essere utile creare le condizioni per un minimo di sicurezza e comfort. Portarsi dietro un alleato, ad esempio, qualcuno che conosciamo bene e ci aiuti a “respirare”.
4. Sfidarsi. Ogni tanto, decidere di fare una cosa che ci farebbe paura, per spingere i propri presunti limiti un po’ più in là. Posso decidere di andare comunque a quella cena e di interagire con qualcuno, parlando del più e del meno con una persona che non conosco. Sarò a disagio, o forse no: sono sempre pronta a stupirmi.
Ho passato gran parte della mia vita a sentirmi diversa. Volevo, invece, essere uguale agli altri, volevo essere “normale”. Quando ho iniziato a lavorare su di me ho capito che mimetizzarmi avrebbe significato un appiattimento. Le mie stranezze sono importanti, sono interessanti, sono una ricchezza. Essere diversa non è più un limite, essere diversa significa essere unica. E l’unicità è un valore positivo che è difficile far brillare. Ecco perché mi piace, in fondo, essere introversa, anche se forse non sarò mai una leader e continuerò ad avere le mie difficoltà a relazionarmi con gli sconosciuti.