Come lasciare il posto fisso ed essere (consapevolmente) felici – Parte III

Si conclude con questo post il “viaggio” di Giovanna Martiniello verso la consapevolezza che si può lasciare un posto fisso e vivere felici. Se ti sei perso le “puntate precedenti” leggi  la prima parte e la seconda parte di questo articolo in cui Giovanna ci ha spiegato cosa ha significato per lei il Master in Coaching di ADF e lasciare il suo lavoro per seguire un sogno.

Non c’è ostacolo che tenga: i cambiamenti non possono aspettare

Naturalmente quando maturi una decisione ponderata a lungo e digerita a fatica, gli ostacoli non si fanno attendere. A luglio mio marito ha saputo che avrebbe dovuto pagare delle tasse arretrate che non aveva messo in conto. La cifra era abbastanza ingente, tanto che ha dovuto chiedere una dilazione. Non ci era mai capitato di avere dei debiti e la cosa mi ha alquanto allarmata. Ho pensato di essere stata ingenua: come mi era venuto in mente anche solo il pensiero di lasciare un lavoro sicuro e a tempo indeterminato, con uno stipendio fisso che sostentava la mia famiglia? Dovevo aver perso il senno. Una parte di me mi diceva che si trattava solo di tenere duro magari ancora un anno, poi avrei fatto la mia scelta coraggiosa; ma adesso no, non potevo permettermi di essere così avventata. Una sensazione di tristezza diffusa, che non riuscivo a definire, mi ha accompagnato per tutta l’estate. Il primo fine settimana di settembre sono tornata al Master. Ognuno dei corsisti ha raccontato a che punto fosse la propria vita. Quando è stato il mio turno, ho accennato alle recenti difficoltà economiche che mi ero trovata inaspettatamente ad affrontare. Ho parlato del mio obiettivo di dare le dimissioni a ottobre, come ideale regalo di compleanno. Ma vista la situazione… a quel punto mi sono sentita dire, senza averlo preventivato: ho deciso di dare le dimissioni a settembre. Nel momento in cui ho pronunciato quelle parole, mi sono sentita leggera e combattiva. Ho capito che dentro di me la decisione era presa e che non potevo più aspettare. Avevo bisogno di liberarmi del senso di ingratitudine per l’idea di mollare un buon lavoro in un periodo in cui trovarne uno è considerata un’impresa titanica. Avevo bisogno di darmi una possibilità, di scommettere su di me, finalmente! Una volta tornata a Torino, sono andata dritta al punto: ho parlato della mia decisione alle mie colleghe e poi sono andata da uno dei miei distinti capi sabaudi e ho dato le dimissioni. Ero talmente sicura di me che non ho inventato scuse: mi dimetto perché voglio cambiare vita. Dinanzi a quella motivazione, qualunque proposta economica atta a farmi cambiare idea perdeva ogni attrattiva. Fino a fine anno, continuerò a svolgere quel lavoro per il quale sono molto grata, perché mi ha permesso di realizzare molti traguardi, ma che non è più adatto a me. Dal 2018 avrò una vita da reimpostare e reinventare. Ho paura e, al contempo, sono emozionata. Le domande adolescenziali trovano, poco per volta, risposta: sono una donna di 42 anni che ha scelto per la propria vita.

Progetti per il futuro: non sottovalutare le conseguenze dei desideri

E ora? Cosa farò da grande? Per il momento ho intenzione di abilitarmi come coach professionista, iniziando il tirocinio e trovando il mio modo, unico e irripetibile, di esercitare tale professione. Ma mi sento anche aperta ad altre possibilità. Se durante il percorso dovessi sentire che esso non corrisponde più alla persona che sono o che voglio essere, potrò sempre cambiare (ancora!). Non mi aspetto che sia facile, anzi: sono preparata a faticare e a lavorare sodo. Ma sono pronta anche ad appassionarmi e ad amare ciò che faccio. Sono preoccupata per l’aspetto economico? Oh sì, sono terrorizzata. Ma poi ritrovo la mia parte razionale e le chiedo di supportarmi per non vacillare. Ciò che in questo momento mi preme è continuare ad approfondire le tematiche sull’autostima. Ho un grande obiettivo: rendere Mortifera la mia più grande alleata e, per farlo, non posso smettere di mettermi in discussione. Dicono che la vita comincia quando si esce dalla propria comfort zone. Non sono completamente d’accordo. Uscire dalla propria zona di comfort è senza dubbio un passo importante, la rottura della bolla d’aria che ci protegge; ma se questa scelta non viene supportata da uno sconfinato amore per se stessi e da una motivazione costante, si finisce per vivere attanagliati dalle paure. Il cambiamento è un’arma a doppio taglio: se è vero che rompe schemi fissi e ci proietta in avanti, al contempo ci catapulta anche in una situazione potenzialmente ostile, di cui non conosciamo le regole. Bisogna sempre, a mio avviso, farsi una domanda: a cosa sei disposto a rinunciare di te, della tua vita attuale? Solo lasciando andare carichi inutili, diventati zavorre, si può fare spazio al nuovo. Solo immaginando lo scenario peggiore possibile si può tarare la propria motivazione. All’inizio del 2017 ho individuato la mia parola dell’anno: rivoluzione. Oltre al concetto di cambiamento, la rivoluzione implica una rottura degli equilibri, talvolta traumatica e radicale. E il 2017 è stato davvero un anno di rivoluzione per me, molto più di quanto avrei potuto immaginare. Se qualcuno me lo chiedesse, risponderei che l’atto più rivoluzionario non è stato lasciare il lavoro, che è stato più che altro una conseguenza. La mia vera rivoluzione è stata imparare a decidere, a sentire la legittimità dei miei desideri, a percepire l’infinito potenziale della mia vita. Se riuscirò a mantenere salde nel cuore queste conquiste, avrò trovato la bussola per orientarmi in qualunque situazione mi trovi ad affrontare. Perché se abbiamo il coraggio di fidarci del nostro nord interiore, costituito dall’intuito non mediato dalla ragione, non perderemo mai la strada. Ecco un’altra cosa che ho imparato nell’anno della mia rivoluzione.

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