Conversazioni sul Coaching, seconda puntata! Oggi abbiamo chiesto a Silvia Lanfranchi (The Quiet Coach) di rispondere alle nostre domande sul futuro della professione. Ecco cosa ci ha detto…
Da quanto tempo sei coach e di che cosa ti occupi in particolare?
Sono la Quiet Coach da 3 anni: mi occupo di coaching per le piccole imprenditrici online. Le aiuto dal punto di vista delle strategie e dell’organizzazione del proprio business, ma soprattutto dal punto di vista del mindset: denaro, tempo e perfezionismo sono gli argomenti su cui lavoriamo più spesso. “Fare la quiet coach” è il mio lavoro full-time, portato avanti sia con percorsi individuali che con corsi online.
Quali sono secondo te gli aspetti su cui un coach deve lavorare e continuare a formarsi anche una volta diplomato? E quali sono utili da integrare anche in altre professioni?
Ho iniziato a lavorare su me stessa e su “come funziono” dal primo giorno di Master in Coaching… e non ho ancora smesso. Leggo, guardo, frequento corsi, mi faccio domande e mi do risposte ogni giorno. Gli aspetti su cui lavoro costantemente sono l’autostima, il perfezionismo la fiducia in me stessa, e non credo sia un caso se sono gli stessi aspetti sui quali lavoro tantissimo anche con le mie coachee.
Altrettanto fondamentale è avere un buon mindset imprenditoriale, sapere come promuoversi per trovare clienti, e quindi avere nozioni di marketing online o offline, a seconda di come si preferisce gestire il proprio lavoro di coach.
Qual è l’aspetto della pratica del coaching che trovi più valido e utile?
Senza dubbio la praticità, il fare. Nel coaching è importante la consapevolezza, perché senza quella non si percepisce nemmeno che c’è un problema da risolvere, ma è altrettanto importante poi l’azione per creare il cambiamento che vogliamo raggiungere. Ogni volta mi stupisco di quanto l’azione del coachee sia generatrice di una chiarezza che porta inevitabilmente al miglioramento.
Come vedi il futuro del coaching? Quali sono le sfide professionali che dovranno affrontare i coach (e in generale chi si occupa di professioni d’aiuto) nei prossimi anni?
C’è sicuramente un gran bisogno e una gran richiesta di professionisti d’aiuto, soprattutto dopo questi 2 anni a dir poco strani, che hanno portato a galla tanta voglia di cambiamento nelle persone.
Vorrei anche che la parola “coach” non venisse usata a sproposito da chiunque offra consulenze individuali, perché questo rende più difficoltoso far percepire ai nostri potenziali clienti la serietà del nostro lavoro e del nostro approccio metodologico: se tutti si proclamano coach, qualunque formazione abbiano e qualunque cosa offrano, non è che la nostra professione viene svilita?
Grazie Silvia per gli spunti di riflessione. E tu cosa ne pensi? Faccelo sapere e se vuoi partecipare alle nostre Conversazioni sul Coaching scrivici!