Nonostante la mia non più tenera età ho scoperto solo in tempi recentissimi di essere introversa. Cioè, non che prima non lo fossi, semplicemente non ne avevo la consapevolezza. Ho sempre, erroneamente, pensato che introverso fosse un sinonimo di timido. Anche quando mi sono presentata alle mie compagne di Master il primo giorno ricordo che ho proprio detto “sono timida e introversa”. E con questo uso inconsapevole del termine mi sono ritrovata nel team “introversi”.
Sì, ma più passava il tempo, più ho pensato che il nome del team meritasse un bel punto esclamativo alla fine, così: “Introversi!”
Perché gli introversi sono tosti e ho scoperto e capito un sacco di cose su di me che, davvero, mi vergogno a non aver prima quantomeno consultato un vocabolario per scoprire il vero significato del termine. Meglio tardi che mai. Certo, perché solo adesso capisco perché quando andavo alle feste non vedevo l’ora di tornare a casa e dicevo al mio fidanzato di allora “ma perché non riesco a fare la simpatica? Ad essere al centro della scena? A ridere delle battute che fanno ridere tutti? Perché mentre tutti si divertono io me ne voglio andare?” E lui mi guardava senza risposta.
Non è che non mi piacessero le feste, eh. Solo che a un certo punto o ballavo tutta la sera (ma la musica doveva piacermi) o trovavo un gruppetto con cui chiacchierare o mi stampavo un sorriso di circostanza e guardavo gli altri divertirsi mentre io desideravo solo confondermi con la tappezzeria.
E poi il lavoro
Sono pendolare e prendo mezzi pieni, anzi pienissimi, di umanità. Gente che, soprattutto la mattina, ha mangiato una radio a colazione.
Lavoro in una segreteria e ho un ufficio aperto.
Quando non sono in segreteria, faccio lavoro di front office con il pubblico in una biblioteca. Una biblioteca non a scaffale aperto, dove i libri non sono esposti e li devi cercare on line e recuperare fisicamente tu, bibliotecario. E di libri ne abbiamo mica pochi, circa trecentomila.
Finito di lavorare riprendo i mezzi.
La sera arrivo a casa e sono uno straccio.
Per fortuna ora so perché. Ed è importante, perché sapendolo puoi cercare di spiegare a chi convive con te perché all’arrivo a casa te ne stai un po’ in camera per conto tuo o mezz’ora in vasca da bagno. Non è un problema personale, è una necessità di ricarica.
E al lavoro? Non è semplice, è necessario trovare alcuni trucchi per rallentare l’esaurimento dei livelli di energia e aumentare la velocità di ricarica. Che delle volte funzionano, altre volte no, ma comunque aiutano.
Come fare per sopravvivere
Devo dire che alcuni di questi espedienti li avevo già messi in pratica “spontaneamente”, cioè, ben prima di riconoscere di essere introversa. Spesso è il nostro corpo, la nostra testa che ci dicono come fare. Per esempio, ho sempre preferito fare la pausa caffè da sola, evitando di uscire con le colleghe o di dover andare alla macchinetta e conversare. Le scuse usate vanno dall’intolleranza al caffè, al periodo di depurazione, al mal di testa, alla telefonata da fare. Ma anche confessando esplicitamente che si ha bisogno di staccare un attimo e di prendere una boccata d’aria o di stare in silenzio. E se il caffè come momento di pubbliche relazioni o di networking è importante, magari lo rimando alla mattina prima di cominciare o dopo la pausa pranzo, quando sono ancora “in forze”.
Quando lavoro in segreteria la cosa che mi crea più ansia è la mancanza di confini: essendo in una scrivania centrale in mezzo a un corridoio devo cercare di crearmi una privacy immaginaria: la tazza “do not disturb”, o il magnete visibile sul PC con scritto “oggi no”, sono piccole cose ma che fanno simpatia. Chi le nota talvolta sorride e fa la battuta, la risposta può essere, ridacchiando, la verità “eh sì, non ci sono per nessuno oggi, ho una cosa importantissima da fare e devo essere concentrata”.
Le cuffie sono un altro segnale visivo importante: certo, non sono sempre utilizzabili. In alternativa, soprattutto se nascondibili dai capelli, i tappi per le orecchie. Alla peggio, del cotone (con la scusa dell’otite): spesso basta anche crearci un po’ di effetto ovattato per riuscire a sentirci meglio.
Quando poi si è veramente sopraffatti dalle persone e dai rumori intorno a noi, è meglio alzarsi un attimo e lasciare lo spazio. Fare una passeggiata intorno all’edificio, bere una tazza di tè, trovare un angolo tranquillo, al massimo anche nascondersi in bagno per qualche minuto, può servire ad alleviare l’ansia. Quattro passi e un po’ di aria fresca di solito sono meglio di ogni cosa per riprendere fiato prima di tornare a lavorare in mezzo alla calca.
Se non ci si può alzare, ci si può aiutare con piccoli accorgimenti, ad esempio prendendo qualche respiro profondo, chiudere per pochi minuti gli occhi, concentrarsi su qualcosa di piacevole (un colore, una foto), ascoltare una canzone piacevole. Tutto questo può aiutare quando ci si sente sopraffatti dall’ambiente. Ci sono anche app gratuite per meditare in cinque minuti: non le escluderei a priori, anzi.
Quando lavoro con il pubblico il problema maggiore è la necessità di dialogare con gli utenti e, se il rapporto one-to-one può anche essere ogni tanto piacevole, molto più spesso capita di essere bombardati dal check-in di persone e di dover rispondere contemporaneamente e senza requie a chiamate e domande, dirette e in contemporanea al telefono (perché il telefono suona sempre mentre stai facendo altre sei cose contemporaneamente).
Anche qui la sopravvivenza non è semplice. Si dice che gli introversi hanno modi per chiudere una porta anche quando non c’è una porta fisica da chiudere, ma con la mia esperienza cerco il più possibile di concentrarmi su una cosa e una persona per volta. Se non ho finito un’operazione non stacco lo sguardo dal computer e questo di solito serve a “dare un tempo” all’utente che capisce quando tocca a lui. Certo, potrebbero servire i distributori con i numeri (potreste provare a proporli ai vostri responsabili), come in certi uffici pubblici, ma non sempre vengono adottati per cercare di creare un’ambiente meno rigido.
La mindfulness – concentrarsi su quello che si sta facendo, in quel preciso momento, proprio lì, è sicuramente utile e da apprendere, esercitare e affinare.
E come gestire gli utenti difficili?
Rendendosi conto che, molto probabilmente, non se la stanno prendendo direttamente con te, come persona, ma col ruolo che stai svolgendo o come rappresentante del posto/azienda dove lavori.
Immaginare di essere l’altra persona e creare un film nella nostra testa, pensare alla loro vita, pensare che magari hanno bisogno di parlare con qualcuno. Giocare di empatia, essere gentili anche con qualcuno che non lo è, può essere una soluzione.
E quando la visualizzazione e la gentilezza non bastano e i nervi sono messi veramente a dura prova, last but not least, giocarsi la carta del supporto emotivo, della condivisione. Parlare direttamente con i colleghi o i propri superiori, con sincerità, può essere una soluzione. Magari spiegando senza critiche la situazione, dicendo che si ha bisogno di un po’ di spazio o tempo per elaborare un’esperienza emozionale. La condivisione è importante per dissipare le emozioni negative. Se poi i colleghi o i capi non sono molto disponibili a farvi da rete di supporto… magari è il caso di cominciare a fare qualche valutazione non più solo su noi stessi ma sul nostro ambiente di lavoro.
Il 5 maggio alle 19 parte il percorso Introversi, istruzioni per l’uso, 3 serate assieme ad alcuni introversi DOC per capire come affrontare le situazioni della vita senza soffrire troppo. Il corso è ovviamente rivolto anche agli estroversi che hanno a che fare con gli introversi… e che non sanno più che pesci pigliare! Trovate qui tutte le informazioni.