Perché viaggio e quanto riesco a godermi la vacanza?
Domande superflue: è ovvio che… No, un momento, non c’è niente di ovvio sui pochi viaggi e sulle tante vacanze della mia vita. Non so quante volte me lo sia veramente chiesto e dubito di aver dedicato troppo tempo prima d’ora a trovare risposte in cui rispecchiarmi.
Lo confesso, ho dovuto superare i ben otto lustri di vita per fermarmi, spegnere tutti gli interruttori che sprigionano rumore intorno a me e prendere carta e penna per rifletterci su, con metodo, anche se è l’istinto a dettarmi le parole da confidare al mio oramai fedele taccuino.
E, pensiero dopo pensiero, sono venuti a galla tanti ricordi di esperienze ed emozioni, per lo più belle (sono una donna fortunata, lo riconosco e ne sono grata), ma anche seccanti al limite del molesto: come una sensazione di aver dovuto sempre qualcosa a qualcuno, di aver chiesto scusa per essermi concessa il lusso di riposarmi o divertirmi all’occorrenza, precludendomi così la libertà di dedicarmi a ciò che sentivo di meritare, ossia un po’ di tregua dai continui condizionamenti e obblighi; insomma, come una sensazione di claustrofobia, anche in vacanza, e con il costante sospetto di essermi persa qualcosa di bello e importante che accadeva sempre lontano da me, senza neppure beneficiare di un sano ozio.
Ho così realizzato che qualcosa avrei dovuto cambiare nel mio approccio alla vacanza e che era arrivato il momento di rispondere con onestà a queste domande, per nulla superflue.
E l’ho fatto, insieme a Francesca Gambarotto, Silvia Bartolucci e gli ospiti presenti ai due incontri di bookcoaching sul tema del viaggio e della vacanza, il 24 maggio e il 21 giugno in due librerie di Torino, Linea 451 e Pantaleon, i cui rispettivi librai Michele e Davide ci hanno ospitato e accolto con entusiasmo e pazienza.
Siamo partiti da un esercizio di memoria ricordando le vacanze/viaggi del passato, chiedendoci, nella riservatezza della nostra intimità, cosa ci ha fatto stare bene e cosa avremmo tanto voluto risparmiarci; ci siamo poi abbandonati nel sogno di una vacanza senza alcun tipo di vincolo (economico, temporale, di salute e responsabilità) e da qui il confronto con un numero indefinito di vacanze ideali e la triste constatazione di quanto troppo di rado la realtà abbia somigliato anche solo lontanamente al nostro sogno.
Di colpo il primo scossone a distoglierci dal torpore: “ma perché abbiamo permesso che ciò accadesse? e come mai non ce ne siamo mai accorti?”
La curiosità di indagare era stata oramai insinuata e subito dopo, nell’ordine, abbiamo: riconosciuto quante cose tolleriamo ma non sono necessarie a noi e alla nostra vacanza; stabilito quali sono i nostri bisogni davvero irrinunciabili per poterne godere appieno; definito i confini entro cui vogliamo muoverci liberamente per impedire ad altri di invadere e calpestare il nostro giardino, che nel tempo abbiamo coltivato con enorme fatica.
Siamo così giunti a una verità: per vivere vacanze il più possibile simili al nostro ideale il cambiamento deve partire da noi, domandandoci quanto siamo disposti a modificare abitudini e visione della vita, ossia quanto ci concediamo di uscire dalla nostra zona di comfort, spesso più carceriera che confortevole.
E per prenderne piena coscienza (quantomeno per iniziare a farlo) ci siamo confrontati con le decisioni prese da Ella e John, i due vecchietti scapestrati protagonisti del libro In viaggio contromano di Michael Zadoorian, le cui scelte e peripezie hanno suscitato reazioni contrastanti nei lettori, ma anche rappresentato al meglio tutte le fasi della nostra riflessione, compreso il coraggio di uscire dalla loro comfort zone per intraprendere un viaggio on the road lungo la Route 66, rivelatosi come metafora del viaggio della vita.
“Noi siamo turisti. Ho finito per farmene una ragione. Io e mio marito non siamo mai stati i tipi che viaggiano per espandere la mente … Noi siamo gente che resta … Ci piace stare dove siamo. Credo che sorga spontanea la domanda: e perché mai viaggiamo? Può esserci soltanto una risposta: viaggiamo per apprezzare casa nostra … Ma la costanza può trasformarsi in una trappola. Fa parte del restringimento del tuo mondo, la visione a tunnel della vecchiaia. Con la conseguenza che non sempre riesci a riconoscere un momento perfetto, o a metterti nelle condizioni perché arrivi. Oppure a volte i momenti perfetti arrivano e tu nemmeno te ne accorgi. Per questo hai bisogno di viaggiare … Viene un momento, dopo dodici o tredici giorni di viaggio praticamente ininterrotto, che non desideri altro che tornartene a casa tua. Viaggiare è stato bellissimo, meraviglioso … Ma la tua massima aspirazione, poi, è semplicemente dormire nel tuo letto, mangiare nella tua cucina, sederti nel tuo bagno. Vuoi smettere di vedere il mondo. Vuoi vedere il tuo mondo”.
Ci siamo ritrovati a sghignazzare e fare amari sorrisi leggendo della crociera di David Foster Wallace, raccontata in Una cosa divertente che non farò mai più come un infinito elenco di cose da tollerare, di bisogni instillati dal “pacchetto” fino all’esasperazione, di deboli paletti non rispettati dalla continua ingerenza del personale della nave con l’intento di “produrla in te, questa sensazione: una miscela di relax ed eccitazione, di appagamento senza stress e turismo frenetico, quella fusione particolare di servilismo e condiscendenza che viene propagandata attraverso tutte le forme del verbo viziare”.
Abbiamo partecipato del tentativo fallito di Wallace di uscire dalla sua comfort zone, incapace, nonostante gli sforzi, di abbandonare una parte di sé, che lo ha accompagnato per tutto il viaggio:
“Soffro di un delirio … una lista di insoddisfazioni e rimostranze che all’inizio sembravano insignificanti e poi sono diventate pressoché disperanti. Lo so … che l’origine di tutte le insoddisfazioni non è affatto la Nadir quanto quell’io semplice, primitivo, umano … e sensibile al piacere passivo di essere viziati: il Neonato Insoddisfatto che è in me, la parte che in ogni momento e indiscriminatamente vuole … la mia insaziabile parte infantile non farà che accrescere la soglia di soddisfazione fino a conseguire di nuovo la sua omeostasi di grave insoddisfazione …”
e abbiamo ripreso fiato, insieme a lui, al pensiero del suo “reinserimento nelle richieste adulte della vita reale”.
Si viaggia per i più svariati motivi, dunque, compreso quello di andare alla ricerca delle proprie origini e occupare il proprio posto nel mondo, come accade in Amina e il vulcano, graphic novel di Simona Binni, la quale (in collegamento via Skype) ci ha fatto entrare in una dimensione fantastica, in cui un po’ tutti abbiamo ritrovato una parte di noi e ci siamo lasciati andare al pensiero che “la felicità a volte abita in luoghi insospettabili. … Quando sogniamo è perché abbiamo un mondo dentro di noi ricco di cose … fantasie, desideri, ricordi, paure. A volte tutte queste cose hanno bisogno di emergere dalla parte più profonda di noi. Sognare è un po’ come accendere una luce e vedere cosa c’è nei luoghi più bui e misteriosi della nostra coscienza. Non devi aver paura dei tuoi sogni perché nulla di ciò che viene da te può essere una cosa brutta”.
Ora lo so come voglio trascorrere le mie prossime vacanze.
Lo auguro anche a voi.
(Michael Zadoorian, In viaggio contromano, Marcos y Marcos, Milano 2009; David Foster Wallace, Una cosa divertente che non farò mai più, minimun fax, Roma 2012; Simona Binni, Amina e il vulcano, Tunuè, Latina 2014 )quento anche il Master in Coaching di Accademia della Felicità perché anche io come Goethe ritengo che è “libero ognuno d’occuparsi di ciò che lo attrae, che gli fa piacere, che gli pare utile, ma il vero studio dell’umanità è l’uomo”.