Pimlico – un romanzo

Da oggi in avanti pubblicheremo sul blog anche il venerdì: abbiamo deciso di dedicare questa giornata ai temi culturali, e oggi inauguriamo con un romanzo: PIMLICO, di Michele Benetello, un romanzo di formazione per gli amanti della musica e della terra di Albione, ma vi piacerà anche per tanti altri motivi.

Lo pubblicheremo a puntate, sempre il primo venerdì del mese, mentre gli altri venerdì parleremo di film, libri e tante altre cose.
Oggi partiamo con il romanzo, Buona lettura!

 

Do You Remember Rock’n’Roll Radio?
The Ramones 1979

“Un arcobaleno che dura un quarto d’ora non lo si guarda più”
Johann Wolfgang Goethe – Massime e Riflessioni

Benvenuto nel regno dei singles signore, questa è la sua tessera e questo è il modulo che la preghiamo di compilare e consegnarci al più presto, giusto per inserire i suoi dati nel nostro archivio. Ci firmi anche sotto, per la privacy, grazie. Non c’è nessuna iscrizione da pagare, chi viene da noi ha già pagato abbastanza in passato. Mi faccia cortesemente vedere le mani, eventuali fedi matrimoniali non sono tollerate. Dovesse ancora averla, se la tolga. Il guardaroba è in fondo a destra, dopo la toilette. Per reclami può rivolgersi a quell’ufficio. L’abbonamento è gratuito e così la tessera del Circolo. Una volta al mese organizziamo il nostro torneo per eleggere il single ‘più single’; se vince il torneo per tre volte di seguito avrà in omaggio una bottiglia di champagne d’annata e le sarà permesso ubriacarsi davanti a tutti gli altri membri. Spero vorrà omaggiarci della sua partecipazione. Non sono ammessi animali, droghe, uomini sposati, minorenni e esponenti del clero qui dentro. Nemmeno donne, ovviamente.

<Transessuali celibi?> vorrei chiedere, annaspando in un morbido e soffice sonno, con le luci e il tepore di un mattino primaverile che cominciano a fare capolino dalle persiane socchiuse e dai miei occhi cisposi quanto le briciole dei biscotti lasciate seccare sui bordi delle tazze.

Speriamo inoltre di averla con noi per lungo tempo, Signore. Grazie di averci scelto. Un’ultima cosa: non venga con scarpe da tennis, non sono ammesse.

Ehi, lo odio il tennis, io. E, a dirla tutta, manco vi ho scelto. Mi ci sono ritrovato senza sapere il perché, da voi. Lo biascico quasi, mettendomi carponi sul letto e facendo volare il cuscino oltre le bianche scogliere dei miei piedi intirizziti. Un lungo respiro e uno sguardo ai quattro angoli della stanza prima di realizzare come tutto quello rimastomi in mente della nottata precedente sia un damerino impettito in un lungo frac a blaterarmi queste amenità pre-programmate con voce metallica, in un sogno unto e scivoloso come la Nutella prima durante e dopo il sesso. Un incubo nemmeno troppo spaventoso, dal sapore quasi reale e dai vividi contorni, per un risveglio che preannuncia un fine settimana di rincoglionimento totale. L’ennesimo.

Manca l’aria, qui dentro. E non c’è nemmeno un bellissimo odore, a dirla tutta. Ho qualcosa di strano e appuntito che mi orbita attorno al cervello e non vuol saperne di attraccare, un gusto di creta in bocca e un disco dei Wedding Present che continua a girare catatonico sullo stereo. Mi guarda con solchi intermittenti, a intervalli regolari, facendomi sentire un click ad ogni giro, un click perfetto ma che sembra una sghignazzata. Uno sguaiato sogghigno a 33 giri che mi mette soggezione. Proprio i Wedding Present, pare la legge del contrappasso dantesco. Come ci si può chiamare Regalo di Matrimonio ed avere il coraggio di presentarsi sopra il mio Technics 1200? E, soprattutto, da quanto tempo corrono a briglia sciolta sopra quella giostra a trazione automatica? Ovvero, in termini spicci: a che ora sono andato a letto stanotte?

Carne pallida, occhi cisposi e iniettati di sangue, stomaco in rivolta. Ti credo che faccio sogni strani dove dei manichini in tuxedo mi fanno accomodare al Rotary degli sfigati. Niente che non possa passare con del collirio e un buon caffè. Servono subito, prima che le stoviglie insorgano e il mio stomaco parta con una rivoluzione. Bella impresa scendere dal letto e riordinare un minimo di pensieri, sforzando quei pochi neuroni che ancora stanno galleggiando in vino veritas. C’era una specie di festeggiamento per la partenza dei ragazzi, ieri sera. Ecco cosa c’era di importante. Oddio, non che ci sia chissà cosa da festeggiare perché quattro tizi vanno settantadue ore a Londra; ma se i quattro tizi sono i tuoi più cari amici dai tempi delle scuole elementari, se un paio di loro possono vantarsi di essere i più grossi figli di puttana del quartiere e qualsiasi scusa è ottima per sorseggiare distillati o andare a troie, allora tutto si spiega. Dovrebbero già essersi imbarcati quei moschettieri dell’alcol e del sesso promiscuo, e non vorrei essere l’hostess che se li è presi in carico. Lo so, o meglio lo immagino: useranno le settantadue ore per sfogarsi di tutte le frustrazioni e i dolori che questa vita di provincia ha riservato loro. Giulio soprattutto, che ha lasciato a casa moglie, due figli e un passato tutt’altro che intonso. Porca merda che dolore, il mondo è pieno di spigoli che ti puntano, soprattutto se ti svegli con un equilibrio instabile e il collirio ti annebbia le pupille. Come dice Lucignolo, quel programma di Italia Uno che vorrebbe essere profondo ma è soltanto comico: Bella Vita. Questa è una Bella Vita, con le iniziali maiuscole, vissuta vieppiù di notte e artificiale, come le luci che la illuminano. Un giorno da leone, seppure rinchiuso allo zoo. Uno spiraglio di sole, dopo mesi di tempeste, ma che ti scioglie il pezzo di ghiaccio sul quale stai naufragando, dimostrando che la sfiga ha abbandonato la zona ed è passata a marcarti a uomo.

Dopo aver tentato di riavvolgere l’ingarbugliato nastro dei pensieri degli ultimi mesi, mi sto affacciando al mondo della Bella Vita. Che contempla collirio e risvegli con amnesie (e spigoli) incorporati. Esco. Prima spengo l’impianto stereo che dev’essere acceso da qualche decina di ore, depongo il Regalo di Matrimonio nella custodia e mi massaggio la coscia che ha cozzato contro tutti gli angoli del mondo e anche di più. Poi comincio a ricordare: la cena con tutti i crismi, un fine serata irrorato d’amari, due lacrime da babbeo semi alcolizzato e mille inutili raccomandazioni. Non oso pensare in che condizioni si possano essere presentati al check-in; ci saranno già i poliziotti inglesi in assetto di guerra pronti ad attenderli a Heathrow, perché immagino il loro volo in stile Sex Pistols. Se ne sono andati di prima mattina. Non che io smaniassi di prendere parte alla spedizione, anche se gli inviti sono stati caldi e ripetuti. Ho una Bella Vita da svolgere qui, nonostante le loro insistenze e una certa invidia nel lasciarli scorrazzare soli.

Un po’ per accidia e un po’ per i fottuti casi della vita, ma io non ho proprio voglia di muovere inutilmente muscoli e neuroni per le prossime tre ere geologiche; dovesse esserci una nuova glaciazione ne riparleremo. Inoltre – e forse è proprio questo il vero alibi – devo assolutamente correre in centro, come faccio da qualche sabato, alle 14,30 esatte. Ci sarà l’apparizione divina e non posso mancarla. Ma non posso nemmeno presentarmi dinanzi alla Bionda Madonna con una faccia così deflagrata. Gesù Santo, devo decidermi a fare qualcosa per le prime rughe; ho una pelle disastrata dall’alcol e dalla vita…Di questo passo quel poco di fascino rimasto dalla mia lontana giovinezza evaporerà in fretta, trasformandosi in una purulenta vecchiaia. Vero è che possederlo senza usarlo è proprio da stupidi, come morire belli in forma dopo una vita salutista. Sarebbe davvero una presa per il culo epocale, mica puoi vivere una vita e poi morire sano? Ti piglierebbero per il culo un po’ tutti, credo. O quantomeno un po’ tutti quelli che conosco io. Il rock and roll ogni tanto bisogna metterlo in pratica, altrimenti si fa la fine di quegli occhialuti intellettuali che si spacciano per jazzofili: hanno mani curatissime, barbetta, pipa e vanno avanti a succhi di frutta e cibi biologici. Gente che ascolta il jazz ma che non assorbe un briciolo dello spirito della musica alla quale sono affezionati. I jazzisti, si sa, erano gente balorda. Morfina e bourbon, luce e merda. I loro discepoli, eccetto qualche eccezione, fanno pena. Tra jazzisti e jazzofili c’è un abisso, e io non voglio fare quella fine. Non voglio fare la fine di certe rockstar, uccise dalla loro stessa vita, e non voglio fare la fine di certi appassionati, che abbandonano tutto affinché la moglie non abbandoni loro. Quindi, e me lo sottolineo in mente con un bel Tratto Marker Permanent Ink Nero, resto alla mia Bella Vita, alle amnesie mattutine e a scartavetrarmi il fegato con i liquidi che mi passano davanti durante le notti. A crederci non ci perdo nulla, figuriamoci a metterlo in pratica.

Sto benone qui da me, anche se una pettinata non starebbe male. Ho ancora un po’ di tempo prima di fuggire in centro a veder passare la platinata cometa del week end, la Maria di Nazareth dalle tette che sfidano la gravità. Sigaretta, la prima che capita nel marasma di pacchetti semivuoti disseminati per casa. Poi un mattoncino di liquirizia. C’è ancora un residuato bituminoso in fondo al palato che andrebbe scolpito. Ci provo con tre caffè mentre sono volontariamente confinato in una stanza di sedici metri quadrati, sepolto nel mio anfratto zeppo (e gli altri Fratelli Marx come si chiamavano?…Groucho, Chico, Harpo…) di lavori lasciati a metà, tra un lindo compact disc dei Nada Surf appena scartato e buste piene di essenziali inutilità. Con i piedi all’aria e le mutande vergognosamente fruste.

Ho imparato un sacco di cose scartando i cd; in primis che è praticamente impossibile, soprattutto se sei solito mangiarti le unghie, perché sembra che quella maledetta lamina di plastica sottile sia fusa direttamente sulla custodia. A poco serve la linguetta, è solo una presa per il culo. Ed è l’ennesimo motivo per il quale continuo a preferire il vinile, molto più proletario e diretto: infili il dito nella costina, bestemmi un po’, ti tagliuzzi quel tanto da far sanguinare con juicio e via. Insomma, alla fine mi sono volontariamente confinato e non ho un’oncia di rimpianto, qui dentro sono al sicuro e le mie pareti sembrano un Daze Bao casalingo che leggiamo solo io, nugoli di polvere e Beatrice, la gatta del vicino che ogni tanto mi osserva stupita con il muso ricurvo dalla ringhiera del poggiolo che circumnaviga il mio appartamento. Sono un autoesiliato orsetto lavatore, mi diletto a stare al caldo e lamentarmi delle persone a più non posso. Con tre tazze di caffè in corpo, alle dieci e quaranta del mattino, posso tentare di scardinare l’impresa edile che ho in bocca da un’altra angolatura tramite uno Strawberry Flavour Fruit Tea. L’ho comprato da Fortnum&Mason anni fa, dev’essere buono per forza, anche se è scaduto da mesi. Primo è un vero tè londinese, secondo quando mai il tè scade? Cazzate da naturisti, al limite si secca e sa di paglia. Dovrei avere anche dei biscotti da qualche parte, comperati la settimana scorsa da Luigi, il mio barista, quello che spesso si ricorda di me quando va a fare la spesa settimanale per il locale. Spendiamo meno. Tutti e due. Baiocchi snack confezione mini, scadono tra 9 mesi. Un parto trigemino.

Mangio male, non ho una corretta alimentazione, le proteine scarseggiano all’interno del mio corpo, e mi accorgo con orrore che, ogni giorno di più, le mie gambe si assottigliano. Non ho un filo di cellulite, nè una smagliatura; le donne venderebbero l’anima al diavolo per avere delle gambe come le mie, pelo permettendo. Qui finiscono i pro. I contro sono dati dall’adipe che – uscito dalla muscolatura delle gambe – è andato a parcheggiarsi sul girovita, facendomi sembrare uno di quei pupazzi da attaccare al lunotto posteriore delle automobili che ondeggiano ebeti ad ogni buca e ad ogni sobbalzo. Se mi scrivono Vai Piano Papà in fronte sono perfetto per abbellire una Duna color magenta guidata da qualche babbione ultraottantenne col berretto di fustagno e la testa che puzza di sudore. Ho pure un buco nei calzini. Ma sto lentamente ricomponendo i pensieri, mi sto svegliando un po’ alla volta, pronto per un nuovo giro di giostra. E ora: siamo seri e attenti agli spigoli.

Seduto sulla poltrona del nicotinico studio, maglietta da rugbista, muscolatura assolutamente agli antipodi e dei pantaloni gialli, comincio a riprendere vita dopo una nottata che dev’essere stata epocale, solo riuscissi a ricordarmela. Non so nemmeno io perchè sorrido come un imbecille, ma dev’esserci un motivo serio, o almeno comico. Forse uno dei coglionazzi ha combinato qualcosa di particolarmente esilarante, più probabile che quel coglionazzo fossi proprio io. Forse è l’ansia per l’imminente apparizione settimanale che mi tiene col fiato sospeso. Forse è solo l’immagine che mi viene restituita da uno specchio impietoso: faccia da homeless e capelli che non stanno in una posa decente nemmeno ad usare la pece. Solo, nessun messaggio in segreteria da ore, se non giorni. Ultimo ma non ultimo la vecchiaia incalza, e quella luce che intravedo in fondo al tunnel mi sa che è un treno che sta arrivandomi dritto in bocca.

Accendo la TV ma solo per leggermi le ultime notizie del Televideo… Gli aerei sono la cosa più insicura del mondo dopo il sottoscritto, e la mia alienazione è cosmica. Se dovesse accadere qualcosa vorrei saperlo in tempo reale così da organizzarmi per poter spargere Cointreau, Campari, basilico e il nastro magnetico di una qualsiasi videocassetta con Seka o Jenna Jameson sulle loro tombe al funerale. So che comunque è impossibile; quando mai è caduto un aereo contenente al suo interno una lista di dischi scritta di mio pugno, o addirittura me? Porto fortuna oggi come oggi, agli altri. Avrò anche un’età avanzata, motivo di scherno da parte di parecchi avventori del bar, di una decina d’anni più giovani, e motivo di cruccio da parte mia, pronto ad intravedere i cinquanta. Ma se sono nato nel posto sbagliato di sicuro il momento era quello giusto: mi sono vissuto il punk del 1977 e la new wave; già questo basterebbe a conquistarmi un posto in Paradiso. Ricordo l’allunaggio, i Tubes, la notte di Italia-Germania ai mondiali messicani, Discoring, Paolo VI, Alighiero Noschese, Donatella Rettore che tirava le caramelle al pubblico durante un Festival di Sanremo, Faust’O, Michel Pergolani, Popster, Le Sorelle Bandiera, Aldo Fabrizi vestito da scolaretto, Diana Est, le tette di Patty Pravo con un punto di domanda disegnato sopra in una favolosa trasmissione Rai di Enzo Trapani, A Come Andromeda, Ave Ninchi, Luigi Vannucchi, Gianni e il Magico Alverman, Studio Uno, Bice Valori e tutta una serie di clamorosi culti sotterranei. Tipo Il Tesoro del Castello Senza Nome, anno domini 1972, e ci scommetto la prostata che nessuno lo ricorda. Ho vaghi ricordi anche dell’omicidio Kennedy. Una fortuna sfacciata. Per me, non per il povero JFK. Cento e più anni or sono invece non avrei avuto il becco di un quattrino, e probabilmente sarei morto di silicosi – giovane e bello – in qualche miniera, col breviario in una mano e il pisello nell’altra. Magari pure vergine. Anzi, sicuramente vergine. Praticamente un santo, senza mai conoscere i Ramones, tra l’altro. Sarei stato immortalato con un lampo al magnesio da qualche artista di infima serie sui santini all’interno delle chiese, la gente oggi pagherebbe un euro per omaggiarmi di una candela senza notare che in fotografia vengo davvero male. Oppure avrei trascorso qualche tempo nelle galere di Sua Maestà, magari seviziato da qualche pastore con le spalle larghe come Massimiliano Rosolino, visto che all’epoca non si andava tanto per il sottile con i prigionieri. O ancora sarei stato la cavia del dottor Albert Hoffmann per i suoi esperimenti con l’LSD. Quindi mi è andata bene, tutto sommato, e posso ritenermi appagato e sufficientemente felice ma senza entusiasmo come i ragazzi delle medie trascinati alla gita annuale al seguito del peggior insegnante della scuola. Non sono né triste né di cattivo umore, semplicemente mi sono appena alzato e dei piccoli satelliti di magma e velluto continuano a stazionare, ghignanti, attorno alle mie sinapsi. Mi gira la testa e sorrido loro, vedo che mi cinguettano attorno, li reputo amici anch’essi.

Gli altri invece – quelli in carne ed ossa – devono essere appena sbarcati. Volo di linea, mica Ryan Air o EasyJet da poveracci; volo con whisky e hostess di lusso, non beveraggi indistinguibili e sudaticce semiclandestine con i peli sulle gambe e i trenta sulle spalle. Hostess che probabilmente riusciranno anche a portarsi per due ore in qualche Holiday Inn appena fuori Londra, magari a Croydon, come spesso accade. Pagando, s’intende. Figli di puttana mica da ridere, sono riusciti a cacciare il conto della prima classe sulla carta di credito aziendale di Simone – detto Il Verga per motivi che esulano dalla letteratura italiana – che, con qualche giro e affabulamento dei suoi riuscirà a farsi rimborsare dalla multinazionale per la quale lavora. Di solito fa così; quindi avrei avuto almeno il viaggio pagato, se non l’hostess. La penultima fila della gloriosa Quinta B del 1971 in vacanza a Londra. Tutti eccetto me. Per un viaggio studiato tralasciando affetti, figli, lavori e tutto cio’ che gira intorno alla vita; un’occasione unica, che io ho preferito perdere. Quelli sperpereranno il prodotto interno lordo del Sudan in tre giorni, ne sono sicuro e pure un po’ li invidio. Anche Giulio, che da sempre non è che sia uno dalle infinite possibilità economiche. Ma era giunto il momento di rimanere un po’ solo per qualche giorno, riordinare pensieri, parole, opere e omissioni e cominciare a far di conto. Spengo la televisione senza aver letto una sola riga di pagina 103 dopo aver orrendamente realizzato che è già l’una e un quarto e sono in estremo ritardo per il mio rituale; apro la finestra della camera tenendo la tapparella socchiusa e, seminudo, chiedo ai satelliti di magma e velluto di aspettarmi che sto arrivando. Non prima di aver dato la strizza e il saluto mattutino all’homunculus che, triste e abbacchiato, sbircia dalle mie mutande lise.

 

Un Consiglio:
http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/42120/pimlico/ 

Tre Parole:
“La vostra preoccupazione per ciò che gli altri pensano di voi scompare una volta che capite quanto di rado pensano a voi” (David Foster Wallace)

“Chiunque è come la luna: ha una parte che non viene mostrata a nessuno” (Mark Twain)

“Trovo che canticchiare sia molto utile” (Elvis Costello)

Dieci Suoni:
Best Coast – Sun Was High (So Was I), 2009
MC 900 Ft Jesus – One Step Ahead Of The Spider, 1995
Babybird – Ugly Beautiful, 1996
Robert Wyatt – Shleep, 1997
Peter Gabriel – Scratch My Back, 2010
Janelle Monae – The ArchAndroid, 2010
Madonna – Music, 2000
The Modern Lovers – The Modern Lovers, 1976
Nick Lowe – Dig My Mood, 1998
Aimee Mann – Lost In Space, 2002

 

Autore: Michele Benetello

Ex un po’ di tutto, vivo da participio passato in mezzo a un gruppo funzionale costituito da due atomi di carbonio legati tra loro con un doppio legame, e tre atomi di idrogeno derivato dall’etene (etilene) per perdita di un idrogeno. Si chiama vinile. Mi piacciono le conchiglie, i cani, l’inverno e Cindy Crawford. Se rinasco vorrei essere Johnny Dean nell’esatto istante in cui indossa la giacca da ussaro a Top of The Pops. Per ora mi accontento.

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