Pimlico – Capitolo 6

[Se vi siete persi i primi capitoli di Pimlico, il romanzo di Michele Benetello, in fondo al post trovate i link alle puntate precedenti]

 

“Che mi pare…che?” risponde giustamente sempre più confuso rispetto all’essere che si trova davanti.

“Che ti pare del posto e della fauna. In sé non è malaccio, si possono passare delle belle serate qui dentro, no? Mi sembra sintomatico del fatto che oggi il rock sia soprattutto una moda per adolescenti in fregola, incapaci di comprenderne appieno il significato, per loro ballare al ritmo dei Pearl Jam, di Justice, di Eminem o dei Coldplay è la stessa cosa, invece non deve essere così. E’ come confondere laburisti e conservatori allo stesso tempo. Non se lo devono permettere, ti serve una conoscenza più che particolareggiata per riuscire a maneggiare sottoculture diverse”. Sono un filosofo rock, l’ho sempre saputo. Meriterei un ministero, minimo minimo un sottosegretariato. Con quattrocento parole di inglese te la cavi anche a Bristol o a Leeds, con quattro accordi (arrotondando per eccesso) puoi conquistare l’Inghilterra tutta. Dagli Adverts in poi è stata una lezione fondamentale. Meriterei di avere la responsabilità dell’industria musicale italiota, così farei levitare gli introiti in maniera esponenziale. Dapprima abolendo la SIAE, poi andando a relegare in riserve Baglioni, Venditti, Paoli e tutta questa gente che non riesce mai a capire quand’è ora di appendere l’ugola al chiodo. Anche se con Venditti due paroline le farei, fosse altro per chiedere lumi sulla Simona Izzo dei tempi d’oro. L’esempio più lampante, per qualche legge del contrappasso, non è italiano – non riusciamo ad avere la supremazia nemmeno sulla spazzatura – ma quel cicciobomba cannoniere di Elton John, che fa dischi e comparsate a pagamento giusto per mantenere la servitù dei suoi castelli nella Loira e le sue checcose stravaganze da Liberace. Siccome costano, l’unica sistema per tenerli sempre lindi e puliti è timbrare il cartellino ed entrare in studio di registrazione per tirare due rutti, una sega e tre lacrime. Ormai lo si vede a funerali (altrui) e matrimoni (propri). Chapeau. Un delirio che mi continua dentro, mentre annuisco col capo in maniera meccanica a questo nano capelluto e mi passo in rassegna – dio solo sa perché – anche Jovanotti per non uscire fuori tema. L’uomo sdoganato dalla casta suprema solo perchè ha ammesso l’illuminazione e la lettura di due libri due. Il Siddartha del Gimme Five. Il Bonzo del Gimme Fire. Subito. Il fatto è che noi tossici, invasati dall’acquisto compulsivo di vinile, cd e riviste sembriamo i custodi del sacro fuoco della musica giovanile, le Sibille Cumane del pop. Poi, a vederci, siamo una delusione e facciamo anche sufficientemente schifo all’utente medio: abbiamo doppiato Capo Horn della vita, parecchi di noi stanno come d’autunno sugli alberi le foglie e non ci va assolutamente di dividere i nostri gruppi preferiti con qualcun altro ritenuto poco degno o, nella migliore delle ipotesi, impuro. Danny sta ancora blaterando qualcosa, ed è impuro, per mille motivi. Anzi, per novecentonovantanove, ha quella meraviglia al fianco che lo salva dalla tripla cifra.

“Ma Eminem mica fa rock” ribatte il poveraccio. Avrà anche ragione ma non posso fargliela passare “rock io lo intendo nell’accezione più ampia del termine, parlo di culture e sottoculture giovanili, anche i Soulwax sono rock a mio giudizio. Anche la techno, l’elettronica è rock. Ha lo spirito rock, sicuramente più rock di questa cagata che quel babbeo ci sta propinando or ora” indico il cretino che agita le braccia con un cd in mano; meglio se mi fermo, ormai lo sto tirando scemo con le iperboli.

“Sì, beh…chiaro, stando sul vago sì, ragionando sul generale forse…” non sa assolutamente cosa rispondere, chiudiamo qui, fratello? Abbiamo capito che non ne usciamo, quindi diamoci ragione a vicenda e voltiamoci le spalle “ecco, bravo, hai capito”. Spero di aver chiuso il simposio, tutti alla macchinetta del caffè, a rubare le penne sul bancone del docente e fuori a fumare.

“Non ti sembra di essere un pò troppo saputello? Take it easy babe…”

Mi volto di scatto alla velocità della luce e piombo in una galassia di tette bianco latte. E’ lei, e non c’era bisogno di citare i Doors – anche se con ottima ed impostata pronuncia – per rivedere immediatamente la mia scala delle priorità sessuali e per farmi andare in autocombustione spontanea. Deglutire a fondo e tenere l’homunculus fermo dentro le mutande. Ecco bravo, così.

“Saputello? A me sembra un vero intollerante, lui e quel suo ciuffo ribelle. Saranno gli ultimi capelli che si rifiutano di cadere. Ah ah ah!” questo è Banana, ed è come essere improvvisamente immersi nel ghiaccio secco appesi con del fil di ferro per le gonadi. La risata è di quelle che fanno male, malissimo, talmente male che l’homunculus mi manda a cagare e torna al suo letargo pluriennale, disturbato dall’ennesimo falso allarme. Odio essere apostrofato come intollerante, soprattutto per il fatto che è la sacrosanta verità, e qualsiasi persona mi giunga nei pressi estrae dalla fondina questa putridissima parola. L’homo homini lupus in sé non fa testo con quei suoi stivaletti volgari, però mi fa incazzare ugualmente, perché lo dice con superbia, perché ha dei tatuaggi osceni, perché è esteticamente pessimo, perché sghignazza, perché ha fatto una battutaccia sulla mia capigliatura e perché è molto più grosso di me ed ha un torace largo tre acri. OK, è un lavoro sporco figlioli, ma qualcuno lo dovrà pur fare. 3 a 1, la serata è finita, vado in pace e vi ringrazio. Prima però presentiamoci ufficialmente, così almeno non potrete dire che il disadattato sociale era anche maleducato.

Basta invece mezzora di annusamenti per ritrovarci seduti in un angolino appartato, ognuno con il proprio spazio vitale intonso e con la propria bibita preferita tra le mani, il che significa Danny con whisky, Banana con l’ennesima birra, Monroe a sorseggiare mollemente Martini muovendo le labbra come una dea, io con Skrewdriver ed una parvenza di erezione; tutti pronti a disquisire sulle complessità della vita. Dimmi cosa bevi e ti posso snocciolare almeno tre quarti della tua esistenza oltre a gran parte delle tue preferenze in qualsiasi campo dello scibile umano. Più o meno posso anche riuscire a capire che dischi hai in casa, non che ci voglia molto osservando un babbeo come Banana. E’ un abisso quello che intercorre tra tra una birra in bottiglia e un Martini; e tra un Ginetto (epiteto usato per apostrofare l’amico Gin Tonic) e un Bloody Mary vi è più o meno la stessa differenza che intercorre tra i Korn e David Sylvian.

Ingabbiati nelle solite, banalissime frasi di prammatica, pronti a parlarci addosso per vincere un imbarazzo innaturale, per poi svicolare in un’arida disquisizione musicale con tutti a far muro contro Banana odiosamente incaponitosi a supportare le sue tesi riguardo un ipotetica superiorità e della cultura americana rispetto a quella britannica. Io in testa a capeggiare la rivolta contro i suoi stivali e lui titolare di alcune occhiate non propriamente benevole mentre, schiumoso di malcelata rabbia, annusava l’aria e le mie terga, come i cani. Svantaggio imbarazzante, il suo…con gli unici punti messi a segno citando Ramones, Sonic Youth e Devo. Non che conoscesse molto di più. Nemmeno sulla cultura generale, perché hai voglia pareggiare uno Shakespeare buttato sul piatto delle fiches. Lo sto irridendo come in una Corrida, è stremato, ha capito d’aver pisciato fuori dal boccale e comincia a pompare gli avambracci tatuati, gonfiandosi d’aria come quei ridicoli pesci Oceanici con gli aculei. Ho già un nemico, e so che lui sa che io vorrei, per quello mi gira in tondo mostrando denti, muscoli e azzannando l’aria. Beve birra lui, ed è grosso come un autoarticolato. Lei sa che io so che lui sa e che mi sa che tutti sanno?

Pseudo artisti del cazzo. Un inutile tramestio di parole provate e riprovate centinaia di volte su centinaia di soggetti diversi. Copie fotostatiche di sentimenti ed emozioni invero piuttosto mediocri. Uno spignattare di citazioni, un Bignami riscaldato di avvenimenti, un condensato di vite per sprovveduti. Uno squallore. Sta a vedere che sono tre bei studentelli d’accademia, di quelli che continuano a dire che Warhol non sapeva disegnare, che il mercato dell’arte è imbolsito e che prima o poi qualcuno si accorgerà di loro. Oh, mi fido ragazzi. Quando sarete conosciuti in tutta la galassia potrò dire: io li conoscevo. Di qui non mi muovo. Aspetto la venuta e il verbo. Disprezzo gli artisti, provo fastidio epidermico solo a pronunciare quella parola: arte, quattro lettere combinate per la legge dei grandi numeri e nulla più. Il mondo gravita attorno alla vanità, al credere di avere la verità in mano, all’autoincensare il sacro fuoco del talento. Superuomini, a sentire loro. Disprezzano il lavoro, considerato esercizio fisico per subnormali; ed ogni artista buono deve essere morto da almeno vent’anni, che altrimenti può entrare in competizione. La lingua inglese definisce anagrammaticamente molto bene la parola arte: ART diventa RAT che diventa TAR. Arte, topo, nicotina. Il roditore ed il tabacco hanno sempre provocato meno danni. Fascistelli di sinistra, freschi di Accademia e mantenuti da famiglie danarose. L’arte è stata una squallida invenzione della borghesia, giusto per crearsi la fama di mecenati e comprarsi un pò di cultura a poco prezzo e senza fatica. Il bello è che questi artistelli ‘maudit’ cercano per tutta la vita un mecenate che li mantenga ed al quale scopare la moglie sotto il naso…Viva Warhol e abbasso il Giotto di turno. Viva Burroughs e Stewart Home e abbasso Hemingway e Henry Miller. Arte? Se Botticelli, Chagall, Klimt e Mirò producevano arte, non vedo perché non si possa considerare tale anche Anarchy in the UK o Blitzkrieg Bop, GG Allin, i Napalm Death, i film hardcore, i Throbbing Gristle, l’elenco del telefono, l’odore della spazzatura di casa, le mappe geografiche, i tappi in plastica, le sigarette, le figurine Panini, il Milan di Sacchi e Marco Van Basten, le mie ascelle. La verità era che loro disquisivano sulle loro complessità delle loro vite, io stavo mentalmente ripassando una scaletta per una compilation che avrei potuto erigermi una volta tornato a casa, e poi ero preoccupato perchè non mi riusciva più di trovare il foglietto con tutti i numeri di telefono dei miei amici che tenevo nel portafoglio. Monroe mi cominciava a sembrare così poco ispirante ed ispirata che non vedevo l’ora di togliermeli di torno al più presto. Erano i miei meccanismi di difesa, quelli che cerco di soffocare da anni e che mi fanno entrare di diritto nella categoria dei neofobi. Quanti siamo? Sei miliardi? Sette, forse? Beh…Scremando ci possiamo dividere in due gruppi: i neofobi, ovvero quelli che rifiutano l’ignoto, lo sconosciuto e le nuove idee, abbracciando solo concetti già enunciati; ed i neofili, ovvero i loro alter ego, coloro i quali amano le cose nuove, il progresso, l’invenzione, la novità. Posso allora dire che sono un neofobo affascinato seppur intimorito dal cambiamento?

Si fanno inquadrare subito questi babbei: gente che al massimo compra Pig o GQ quando ha i Boys Noize o Kate Moss in copertina, gente che si fa masterizzare i dischi dagli amici per non spendere soldi e poi buttano 150 euro a sera in cocktail dai nomi del cazzo o passano decine di ore in internet a curare il loro spazietto onanista on line. In questi vorticosi tempi dove se non hai un blog o non sei su myspace diventi improvvisamente un autentico coglione – quasi come se fossi sprovvisto di patente o fossi vergine – io sono rimasto ancora ai quadernetti e ai pensieri sparsi su post-it aggrappati ovunque. Se devo dire qualcosa a qualcuno lo chiamo al telefono, gli scrivo una lettera o gli mando una mail. Non ho bisogno di lustrarmi l’ego col Sidol creandomi il blog. E non ho nessunissima voglia di postare le seghe mentali in rete come leggo in giro ogni qualvolta mi diletto a fare del surf nella matrice. Tutti questi ragazzetti nati con il portafoglio titoli di papà tra le mani, che lavorano nell’azienda dello stesso e che usano il tempo per costruire i loro bei giochetti virtuali, beh…Non voglio aver nulla a che fare con questi viziatelli implumi che sbrodolano ego da un qualsiasi punto com. Sono restìo ad accettare questi nuovi mezzi, e gran parte della mia prevenzione deriva proprio dall’uso che questi giovani pidocchietti o svampite puttanelle ne hanno fatto. Questi scrivono marmellate giornaliere di ego, piene di una nullità epocale, che provocano talvolta il sonno e spesso un amaro sorriso, e che non hanno nessun altro scopo se non quello di battagliare per la supremazia del proprio blog su quello del vicino. Uno strazio. E se sembro come quei giapponesi ancora convinti di star combattendo una guerra ventanni dopo la fine della stessa non me ne fotte una cippa. Due mesi di fabbrica in estate, a 700 euro scarsi, con un capo reparto nazista farebbe vedere a questi miracolati del web le cose in una giusta prospettiva. Che poi, scrivere…inseriscono parole tra un io e l’altro, saltando doppie e coniugando in maniera adultera. Per carità, lo scrivere è 10% talento e 90% costanza…E visto chi sputa pagine al giorno d’oggi credo che le percentuali oscillino sempre di più verso la casella costanza, quasi come un lungo instancabile sonno senza punteggiature. Scrivere non è faccenda tecnica, non solo perlomeno. C’è sangue, sudore e qualche erudita bestemmia di stampo esotico a condire. C’è vita in ogni pagina che sputi. Scrivere è un flashback che ti riempie la memoria con un rinculo. E’ come sgomitare sotto canestro. O scopare. E’ sempre questione di centrare qualcosa, di mettere a fuoco un immagine. E’ avere sempre una Polaroid nitida della vita, aprire un’altra dimensione, più vera e più pura. E’ un continuo asciugare parole, tamponare lettere che gocciolano sulla pagina. E’ come pisciare. Quanto puoi resistere senza pisciare? Ecco, scrivere proviene direttamente dalla prostata. Non puoi fischiare mentre pisci. E’ anche terapeutico. Come spendere soldi per inezie, essere oggetto di una fellatio, passare la mattinata di un giorno feriale a letto o vagabondare per i centri commerciali a orari improbabili la vigilia di Natale. Meglio del Prozac. O del Seroxat. Fossi bravo, avessi tempo, sapessi usare il web e me ne infischiassi delle cazzate altrui racconterei storielle di nullo conto, o deliri politicamente scorretti, o ancora piccoli ikebana di lettere provenienti da chissà quale mio mediocre passato. Lo farei sicuro, invece di star qui, indeciso se andarmene urlando ‘Penitenziagite!’ come un pazzo, così da lasciar loro un bell’argomento per aggiornare il blog.

Invece, nonostante tutto, mi chiedo ogni cinque secondi come può essere fare del sesso con lei. Che sia una di quelle che adora graffiarti la schiena e non riesce a toglierti le mani di dosso un momento? Oppure si morsica le dita e preferisce toccare il suo di corpo? Parla o respira incessantemente? Ti accarezza la faccia? Si spoglia con naturalezza o si schernisce? Che biancheria intima indossa? Reggiseni imbottiti? Si lascia andare o su certe pratiche non transige? Perde la testa o ha sempre un minimo di autocontrollo? Crede di amarti in quei momenti oppure è razionale e si concede giusto un paio d’ore d’attività fisica continuando a farti scendere nel suo ranking personale ad ogni minuto fino ad arrivare a depennarti completamente? Ti stringe dopo oppure si alza, famelica di una doccia? Riesco nitidamente a immaginarmela nuda. Una maliziosa ventenne, pronta a soddisfare mesi di castranti mea culpa del sottoscritto. Fammi ciò che vuoi…Sembra che ce l’abbia impresso in fronte con l’inchiostro simpatico.

“…Ehi, allora che ne pensi?”. Gesummio questa è lei che cerca di attaccare bottone. Questa è lei che cerca di imbarazzarmi davanti agli altri due dopo che le ho cancellato il Bananoide. Non crede che io sia all’altezza dei due formaggini. Penso che ti scoperei ferocemente e volentieri, per poi defilarmi. Penso che non riesco a decifrare questi messaggi cutanei che continui a lanciarmi. Penso che da almeno cinque minuti non ho più ascoltato nessuna parola proveniente dalle vostre bocche, se volete farmi un riassunto pubblicatelo sul blog.

“…’De che?…” Lo volete capire che io non c’entro nulla con voi? Sono un orso stronzo che trova sempre quello che vuole ma quando lo trova non lo vuole più. O meglio, quando lo trova viene accantonato dal sospirato oggetto del desiderio.

“Del fatto che nemmeno quando una te lo fa capire in maniera semi esplicita riesci ad arrivarci. E che ci sembri stronzetto alquanto”. Se questa è una coincidenza è la prova dell’esistenza di Dio. Me lo sussurra all’orecchio ed i due figuri non riescono a intendere granché, continua a soffiarmi dentro i padiglioni auricolari e io sudo sangue per trattenermi dal zomparle addosso “…ed il fatto che tu stessi a menartela con i tuoi pensieroni e quell’aria assente lo conferma.. Banana voleva gettarti a mare dopo due secondi, ma non farci caso, nessuno passa i suoi noiosi esami. Danny invece era colpito dalla tua maglietta”. Così non si può dire di voi, vorrei ribattere. Stasera ad avermi colpito sono state le tue due tette ed i quattro vodka&arancio. Pensiero estemporaneo, mi guardo bene dal dirlo, Banana ha l’aria del solito sfigato innamorato perso da anni – dall’asilo, probabilmente – di Monroe, pronto a farle da paladino in qualsiasi situazione. Non vede l’ora di menare qualcuno che attenti al suo virginale candore. Continua a guardarmi, il coglione. E poi odio la violenza, soprattutto se è fatta su di me. Coglione, coglione alla enne meno uno, meno uno perché una possibilità te la lascio per quando sarai sulla forca ed io farò pollice verso.

Lascio scorrere tre secondi netti, passando al setaccio mille risposte e mille permutazioni possibili pensando anche che quel suo ‘maniera semi esplicita’ nel mio rozzo alfabeto avrebbe almeno dovuto significare una mano sulla patta. Minimo una leccata d’orecchio mentre ero distratto. Devo ponderare bene ogni parola, siamo allo snodo cruciale, se me la gioco bene tra un paio d’ore questa giace supina e sudata tra le mie lenzuola. E magari poi se le porta anche a casa a lavare. Non che io abbia chissà quali assi, ma se bluffo con stile e non mi faccio prendere dal panico vinco la mano.

L’homunculus continua a bussare, giusto un attimo prima che io cada ancora una volta in prossimità del traguardo, non riuscendo a dire null’altro che “ti ringrazio. Scusami, non è stata una serata particolarmente piacevole per entrambi. Nata male e proseguita peggio, sembravamo ai blocchi di partenza di una finale dei cento metri, mentre potevamo soltanto divertirci tutti assieme. Avete ragione, vogliate scusarmi. Finite pure la mia vodka se non vi fa schifo. Non sono sieropositivo, non posso esserlo visto che da troppo tempo non ho comportamenti a rischio. E comunque è vero, spesso sono stronzo, soprattutto quando non dovrei esserlo”. Stupido quanto Morrissey periodo Heaven Knows I’m Miserable Now, li lascio stupefatti a sorridere di questa sagra dell’autocommiserazione e sono già a quattro cinque metri dal trio quando lei mi raggiunge. Lei mi raggiunge, come nelle favole di Walt Disney, come nei film degli anni quaranta, come nei serial tipo Dharma & Greg, come nei sogni più bagnati del mondo. Non mi trovavo in questo limbo di desiderio da quando abbiamo perso i mondiali ai rigori col Brasile nel 1994. Si parla del millennio scorso, ça va sans dire.

La sua voce mi arriva in un gracchiante e ritmato sottofondo che si intrufola tra le sue invettive di donna decisa “senti qua pallido stronzetto, le studi a casa davanti allo specchio queste cazzate? Non credere di essere l’unico al mondo e per questo tutti debbano adorarti? Smettila di fare l’intellettuale sfigato e confrontati da persona sana di mente. Perché queste piazzate? Non possiamo passare un paio d’ore? Giusto per capire se c’ho visto male, perché mi sa che è così. Sei così sfigato e complessato che, se non mandavo Danny a fare quel timido tentativo, saresti ancora a fare il guardone in qualche angolo buio. Testa bassa ed occhiate timide, un Woody Allen sovrappeso, giusto un po’ meno cesso. Io scelgo, constato e decido. Stavolta sarei tentata di decidere prima di constatare. Non farmi ricredere. Non ti va? Basta dirlo, senza seghe e pagliacciate di provincia.”

Sta cercando di decidere da che parte è imburrata la fetta. Necessita ribattere con un coefficiente di cattiveria di almeno 3.6. Carpiato. Così finalmente vediamo se sono un capriccio o se è intrigata davvero. Buttala oltre la rete, fratello. Spazzala via.

Ping.

“Deliziosa ninfetta adolescente” cerco di essere mellifluo e ironico, seppure deciso “ti ringrazio per aver avuto l’investitura suprema dalla tua libido, ma non è detto che ti permetta di scegliermi. Ho un’età avanzata, parecchio sonno ed una decisa voglia di non accompagnarmi ai miei simili. Hai una bolgia infernale di carne maschia pronta a soddisfare ogni tuo desiderio. Lo sai benissimo perchè hai compreso da anni di essere un notevole esemplare di specie umana, lo si comprende da come cammini e dagli sguardi. Ma tutto ciò che voglio – ora – è avere un po’ di pace e trovare un passaggio a casa.”

Giusto un pelo di tremore, mentre la faccenda si rifaceva interessante. Un sorriso zoccolesco ad attraversarle la faccia mentre gli occhi zampillavano miele e pratiche inenarrabili; dura un attimo, giusto l’istante che le permette di portarsi una mano tra i capelli e sospirare ironica “Ecco un altra rockstar di provincia, l’artista incompreso, l’ennesimo filosofo in seconda, il Brett Andersona delle periferie, chissà cosa passa per la testa a voi individui probabilmente straordinari da non poter sostenere un approccio con i vostri simili. Vi credete superuomini Nietzschiani, ma quando qualcuno cerca di controbattere o non vuole saperne di cedere ai vostri duelli mentali allora abbandonate il gioco come dei bambini con il moccio al naso”.

Pong.

Ha grinta la ragazza e non mollo più, non ora. Comincio a eccitarmi. Le sue tette o i bicchieri ingurgitati? La pausa tra naso e cosa era studiata da secoli, chissà quante volte l’avrà provata, ma colpisce più che se mi stesse galoppando su un letto circolare ad acqua. E poi, io capitolo davanti alle donne che sono particolarmente ferrate nel campo del pop. E’ più forte di me, non resisto, non ce la faccio proprio, se una donna mi cita i Campag Velocet – giusto per fare un esempio – o i Kitchens Of Distinctions e i Blue Nile è come se mi ipnotizzasse. Mi sta catturando e non è sempre facile, brava.

Tocca a me, ora.

Ping.

“Se sta diventando una partita, allora sta cosa mi piace…Sediamoci” troviamo due posti liberi, senza l’assillo di amici o muscolosi paladini della giustizia e comincio a discorrere amabilmente “Vuoi sapere cosa mi passa per la testa? Ok, sarò sincero, a costo di prendermi un paio di ceffoni. Di tutto: le tue tette in primis, poi come faccia il tuo ragazzo a permetterti di fare le avances agli sconosciuti e a non accorgersi che ho sbavato su di te per tutta la sera; volevo sapere anche se ti piacciono Julian Cope e i Primal Scream. Vorrei non avervi mai incontrato, perché in cuor mio questo significa una sola cosa: guai. Vorrei non sembrare patetico ma ne sono sicuro. Puzzate di guai lontano un miglio voi tre. Vorrei che tu mi facessi salire nella tua auto e mi portassi a casa e vorrei non averlo mai detto” pausa pausissima, giusto per sentire le mie parole riecheggiare nel fondo della scatola cranica “non rivelare nulla al tuo ragazzo, ho detto un sacco di cazzate, non so perchè scusami, non è stato né un bel sentire né un bel vedere. Una sola parola e me ne vado subito” Riprendo fiato dopo la lunga giaculatoria.

Faccio per alzarmi ma ci ripenso subito, visto che ho rifatto esattamente lo stesso errore di qualche minuto prima. Tutto ciò che esce da lei è un sorriso indecifrabile, nessuna lingua a saettarmi nell’orecchio, nessuna mano sulla patta. Sono deluso. Deluso e terribilmente complicato, pieno di contraddizioni, paranoico, ipocondriaco, insofferente, disadattato, alienato, pigro, nervoso, accidioso. Vecchio, vetusto, obsoleto, attempato, senile, antico. Aveva ragione lei: probabilmente un individuo straordinario. E nei secondi che intercorrono tra la mia logorrea e la sua risposta abbandono il campo e mi ritrovo a fare progetti, pieno di desiderio di raccontare a qualcuno quanto mi sia divertito (comunque vada) stasera, come sia deliziosa Monroe vista da lontano, – sembra un disco di trip hop sessuofobico, un incastro di ritmi fatto da DJ Shadow – mentre perda in intensità estetica quando te la ritrovi a tiro di sospiro; mi piacerebbe essere al solito bar, tra la solita gente, a farmi raccontare per le trecentesima volta cosa sono riusciti a combinare i meticci a Londra, nella mia solita sedia e perso nei miei soliti diagrammi mentali, quelli che non fanno male a nessuno, eccetto a me.

Un Consiglio:

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/42120/pimlico/

 

Tre Parole:

“Lo schiavo che obbedisce spesso sceglie di obbedire” (Simon de Beauvoir)

“La battuta spiritosa viene in mente solo dopo, quando già si scendono le scale” (Denis Diderot)

“L’anno dei miei novant’anni decisi di regalarmi una notte d’amore folle con un’adolescente vergine. Mi ricordai di Rosa Cabarcas, la proprietaria di una casa clandestina che era solita avvertire i suoi buoni clienti quando aveva una novità disponibile. Non avevo mai ceduto a questa né ad altre delle sue molte tentazioni oscene, ma lei non credeva nella purezza dei miei principi. Anche la morale è una questione di tempo, diceva, con un sorriso maligno, te ne accorgerai” (Gabriel Garcia Marquez)

 

Dieci Suoni:

Miles Davis Kind Of Blue 1959

The Sparks Propaganda 1974

Neil Young La Noise 2010

Patsy Cline Showcase 1961

Robert Plant Band Of Joy 2010

The Roots How I Got Over 2010

Albert Ayler Spiritual Unity 1965

Gal Costa Gal Tropical 1979

Villagers Becoming A Jackal 2010

The Monkees Head 1968
[Trovate le puntate precedenti qui: Capitolo 1Capitolo 2, Capitolo 3, Capitolo 4, Capitolo 5]

 

Autore: Michele Benetello

Ex un po’ di tutto, vivo da participio passato in mezzo a un gruppo funzionale costituito da due atomi di carbonio legati tra loro con un doppio legame, e tre atomi di idrogeno derivato dall’etene (etilene) per perdita di un idrogeno. Si chiama vinile. Mi piacciono le conchiglie, i cani, l’inverno e Cindy Crawford. Se rinasco vorrei essere Johnny Dean nell’esatto istante in cui indossa la giacca da ussaro a Top of The Pops. Per ora mi accontento.

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