Pimlico – Capitolo 17

Two Tribes

Frankie Goes To Hollywood 1984

“Non v’è rimedio per la nascita e la morte salvo godersi l’intervallo”

George Santayana – Soliloqui in Inghilterra

Stamani, durante la consueta mezz’ora di cazzeggiamento ricreativo, ho fatto un po’ di calcoli con la Olivetti Logos 381 dell’ufficio: oggi sono 9 giorni che è sparita. Che l’ho fatta sparire.

216 ore.

12.960 minuti.

777.600 secondi.

Un’eternità o un sospiro. Il tempo è relativo, proprio come ho imparato dalla pubblicità della Swatch. Nove giorni nei quali il Circolo Pickwick di provincia si è adoperato in tutti i modi per aiutarmi o soltanto per manifestare la propria comprensione; Giulio mi ha persino invitato a cena a casa sua, facendomi trascorrere delle ore serene assieme a Geno e Fiammetta, ai quali avevo portato in regalo dei peluche alti quasi un metro e una scatola di colori ad olio. Lino è rimasto rispettoso ad una distanza di sicurezza mentre Simone, caliente come suo solito, ha insistito un’intera serata per portarmi con sé in Ungheria per lavoro, dove – ne sono certo – sarà intrallazzato con qualche bel giro di troie imperiali che mi avrebbe volentieri messo a disposizione. Invece ho preferito vagare per centri commerciali ingurgitando birre a poco prezzo e pizza al trancio, finendo per assomigliare sempre più a un Iggy Pop emaciato. Non sono andato al Joy per paura di sbattere addosso ai miei passati, ho quindi preferito trascorrere le sere al bar spazzolando Southern Comfort e intavolando astruse discussioni filosofiche con Luigi o prendendo l’auto per farmi delle passeggiate solitarie in centro città, forse con la recondita speranza d’intravederla. In una di queste serate, particolarmente liquida, è stato proprio Luigi a riaccompagnarmi a casa convinto com’ero di essermi reincarnato in Keanu Reeves…O Andy Capp? Non ricordo bene, ma ricordo di aver rotto i coglioni a tutti finché, esausti, non mi hanno caricato in macchina. Un buon barista deve essere anche un ottimo psicologo, pronto ad usare bastone e carota quando gli eventi lo impongono.

Dimagrisco a vista d’occhio, e questo è un bene per il mio girovita; non ascolto un cd da una settimana, e questo va già meno bene; mi rado solo quando mi ricordo e l’ufficio è un optional per il quale mi pagano. Chissà per quanto ancora se continua così. Ultimo ma non ultimo cominciano persino a piacermi gli U2. Mi scappa da ridere – un riso amaro – se penso che le due Repubbliche Sentimentali potrebbero conoscersi e finire a parlare di me: “Vedi, io con quello ho passato parecchi anni della mia vita” Uno. “Io solo qualche settimana, ma mi è bastato!” Due. “Io l’ho scopato sopra la lavatrice” Uno. “Io invece sul tappeto nell’ingresso di casa” Due. “Ma, scusa… A te diceva qualcosa mentre ti baciava?” Uno. “Qualche volta si… Ma la maggior parte del tempo pensava a se stesso” Due. “Credimi, ancora non te ne rendi conto, ma per te è stata una liberazione trovarti priva del suo ego.” Uno.

Ho ancora dei residui d’afflizione lasciati dalla spavalda Kornelia e subito se ne aggiungono di freschi. Due sconfitte due in pochi mesi, una ai rigori. Non ho raggiunto nemmeno i quarti di finale. ‘Fanculo, quanti meno problemi ci sarebbero in giro se ci fosse un mondo a senso unico o asessuato?

Eppure per me è impossibile resistere e voltar la testa come se niente fosse successo. Non ho resistito quando la ‘numero uno’ mi ha girato le spalle, tentando di farle cambiare idea a intervalli regolari e porgendole il mio cuore su un piatto d’argento (troppo tardi, aveva smesso di cercarlo), finché spossato dalla situazione, ho gettato la spugna. Ed ora mi ritrovo in una situazione simile, anche se meno marcata e assolutamente non paragonabile per profondità d’amorosi sensi. Impossibile resistere, quindi. Tanto vale darle ragione da subito e – con uno iato temporale di poche settimane – prendere il coraggio a due mani e il telefono con una.

“Buongiorno. Posso parlare con Elisa?” sudo freddo.

“Non è in casa. Chi parla?” E’ la voce della cameriera, questa. Amica, compagna proletaria, dammi una mano; sii la mia donna all’Havana, la mia Mata Hari dentro quel covo di nemici, orsù.

“Sono…Ehm…Un compagno d’università…”

“Sei Umberto? Elisa ha detto che gli appunti li puoi portare domenica sera quando torna”.

Chi è Umberto e dove cazzo è andata?

“Scusi, sa per caso dirmi dov’è andata?”

“E’ in collina con la madre…Ma…Sei Umberto?”

“Quasi. Arrivederci”

Riattacco proprio mentre una bestemmia esotica mi sfiora le labbra. Umberto? Collina? Appunti? Che cosa cazzo sta succedendo che io non so? Da cosa mi hanno tenuto all’oscuro? Notizie tutt’altro che positive quelle portatemi dalla Telecom. Passi per il week end in collina, ma ‘appunti’ e ‘Umberto’ non sono parole che stanno bene assieme.

Non aspettavo che un alibi per dichiarare guerra a Sua Maestà Monroe, e questo mi pare davvero un alibi inattaccabile da qualsiasi punto di vista, finanche dalla Convenzione di Ginevra. Sono ancora oscenamente imbambolato davanti al telefono quando la cornetta urla tutti i suoi squittìi. Alzo. Speranzoso ma consapevole che queste cose succedono solo nei melensi telefilm americani quali Baywatch o Melrose Place, tutti tette e buoni sentimenti. O nei film porno tipo Backdoor Baby.

“Sei tu?” Voce maschile, dura, aspra, decisa, salata. Odiosa e strafottente, non capisco immediatamente chi possa essere ma non mi è sconosciuto.

“Beh, sì…chiaro. Ma chi parla?”

“Sono Banana, devo parlarti”; No, non Banana. Meglio Rudolph Hess in questo momento, o il Generalissimo Franco. Andrebbe bene anche Michel Platini o Marcello Lippi. Sarebbero sicuramente più simpatici di Banana. Non so nemmeno il suo nome per tenerlo lontano dalla confidenza che potrebbe prendersi.

“Ciao…Ehm…il problema è che sto uscendo e non avrei poi così…Ehm…Tanto tempo adesso…Si…Insomma…Potremmo…” mi sono incastrato da solo. Ha capito che lo sto evitando.

“Farò prestissimo, sono sotto casa tua. Aprimi il cancello oppure ti aspetto in strada appena scendi”.

Mentre premo il pulsante mi sovviene con terrore che tra pochissimi giorni è il mio compleanno. Sale gli scalini a due a due – è un’ atleta – e sfoggia un paio di stivali da motociclista veramente orrendi, quelli pitonati color diarrea di piccione. Solo per questo meriterebbe di non entrare in casa mia. Invece me lo trovo già seduto in salotto. Mi guarda sorridendo.

“Non stavi uscendo, forse?”

“Beh…Si…certo…” Dove vuole arrivare?

“E allora com’è che sei ancora in quella specie di pigiama?”

“Io esco spesso in pigiama, con un girasole all’occhiello come Oscar Wilde” Siccome è un cretino, meglio pigliarlo per il culo da subito, così risparmiamo tempo “senti, non devo rendere conto a nessuno di quello che faccio a casa mia. Cosa ti serve?”

“Dicevo per dire; sapevo che volevi evitarmi. L’abbiamo sempre fatto l’uno con l’altro, tollerandoci” io non ti tollero, mi stai proprio sul cazzo, è diverso.

“Bevi qualcosa?” lo dico solo perché ho ricevuto una perfetta educazione. Fosse per il sottoscritto gli metterei Idraulico Liquido nel bicchiere; spero solo che non venga a fare il paladino del cazzo. O a menarmi.

“Sai che non sono un ubriacone come te ed i tuoi amici comunisti. Sono qui perché sono preoccupato per Elisa”

…Ubriaconi?… Comunisti?… Lui è straight edge, certo. Integerrimo. Però, com’è che si versa un bicchiere di Jack Daniel’s? Con quel trench nero poi, pessimo. Un soprabito di pelle da metallaro di seconda mano, un capo d’abbigliamento che non usano più nemmeno quando fanno le stragi nelle scuole americane. Non abbocco e non mi faccio intimidire, manco era stato invitato al mega party lui, quindi non vale nulla nemmeno per i riccastri. Non vali nulla da qualsiasi parte ti si guardi caro Banana, se giocassimo ai Quattro Cantoni rimarresti sperduto nel mezzo.

“Sta male?” faccio finta di nulla e svicolo, pregando che se ne vada.

“Non essere cretino, sai benissimo a cosa mi riferisco… Non hai nessun diritto di farla soffrire così…” Figurati se a me è concesso aver diritti. Io non ho mai diritti, io ho sempre doveri verso tutti.

“Scusa, ti ha mandato lei?”

“No”. Sapevo anche questo, ma mi sarebbe piaciuto avesse risposto diversamente.

“E da quando ti ergi a fedele paladino della sua salute psicofisica? Voglio dire, e scusami la brutalità, ma che cazzo c’entri tu?”

“C’entro, perché è una cara amica, e vedo quanto sta soffrendo”.

Una cara amica. Wow, questo vuol fare la parte di Lady Oscar. Un altro gentiluomo, siamo già in due, fratello. Ti sparo tra le scapole con una balestra caricata a cianuro io, altro che gentiluomini.

“Una cara amica. Oh certo, una cara amica. Tanto cara che dev’essere dal 1992 che fremi dalla voglia di scoparla o farle da zerbino, vero? Che resti nell’ombra come uno sciacallo aspettando il momento buono per azzannarla, ma il momento buono non arriva mai e ormai provi solo rabbia e impotenza. Dico bene?…”. Si alza di scatto buttando a terra il Jack Daniel’s, mi afferra per le spalle crocifiggendomi al muro e mettendomi la mano sulla gola. E’ il doppio di me, e i suoi avambracci glabri sono larghi come il mio misero torace. Vedo nitidamente tutta la secca pigmentazione di quel tatuaggio del cazzo che ha appena sotto il gomito e sento l’odoraccio di pelle stantìa di quel trench di merda. Ma non cedo. Se mi trovano morto le sue impronte sono dappertutto. Cerco di far uscire la voce, ne esce una cosa strozzata e in falsetto, tipo Scissor Sisters ma distinguibile “parliamoci chiaro, tu sei contento che tra me ed Elisa sia finita, o stia per finire; così ti puoi illudere ancora una volta di avere campo libero. E la frase che mi hai appena detto non la pensi minimamente…” cerco di deglutire e prendere aria contemporaneamente “…se non la facessi soffrire significherebbe che siamo ancora assieme, e probabilmente saremmo dietro quella porta – la vedi? – a scopare come ricci. Fai due più due e dimmi realmente cosa vuoi, ok? Magari smettila di stringere che devo respirare, stronzo”.

Vacilla. Mentalmente sta vacillando. Aumenta la stretta di due giri, riuscendo pure ad accendersi una Lucky Strike. Che cazzo di sigarette che fuma, sanno di lucertola. Potrei piazzargli una meravigliosa ginocchiata sui coglioni, ma credo equivarrebbe più o meno firmare la mia condanna a morte. Questo mi ammazza, non sono mani le sue, ma garrote; garrote con le unghie che hanno bisogno di una bella pulizia, vedo. E non accenna a mollare la presa. Ma nemmeno io, e la mia gli sta devastando il cervello.

“Voglio che sia felice, e non voglio che stronzi intellettualoidi la circuiscano” mi lascia improvvisamente andare e torna a sedersi imbarazzato, mentre io cerco di ricompormi, osservando lo scempio che il Jack Daniel’s ha lasciato sul tappeto e massaggiandomi il collo “è quello che voglio anch’io, gli stronzi intellettualoidi danno fastidio pure a me. Vedi che abbiamo dei punti in comune?” mi ha fatto un male boia questo figlio di N.N.

“Non fare lo spiritoso, o stavolta ti appendo al muro per sempre. Non provocarmi. Mi sei sempre stato antipatico. I tipi come te mi stanno sul cazzo.”

Perché? Perché lei si innamora? Oppure è una cosa epidermica?

“Non ci posso fare nulla, amico. E nemmeno tu… Io ed Elisa abbiamo punti in comune e punti che ci dividono, oltre a una forte attrazione fisica. Probabilmente non potremo mai vivere una vita assieme. Però avrebbero potuto essere delle settimane fantastiche… Se non… E comunque credo sia finita, per tua somma gioia”. Vacillo io, adesso. Non so perché gli rivelo queste cose, non dovrei renderle di pubblico dominio; ma – forse – in fondo in fondo, provo una tenerezza per l’amore à la Marquez che il povero Banana dilapida dai tempi della pubertà. Anni di frustrazioni, paragoni improponibili, lacerazioni, dolori. Non vorrei che soffrisse, ma le nostre sofferenze sono collegate. Io comprendo cosa si prova, comprendo cosa ha provato e vorrei che nessuno dei due potesse provare ancora simili bombardamenti emotivi. Eppure, vedendolo nella sua interezza, non riesco ad avere una pur minima simpatia per questo macho dalle possibilità mentali limitate, me lo ricordo ogniqualvolta deglutisco, visto che fa un male boia. Se ne va abbastanza rapidamente sentendosi un eroe e sbattendo la porta, lo stronzo con gli stivali color cacca di piccione e il trench nero fuori moda.

Sono tentato di scrivere una lunga lettera a Monroe, cercando di suturare (o sturare?) le ferite, ma mi ripeto come sia improbabile trovare punti di contatto con simili disparità sociali. Butto nel cestino della carta straccia almeno una decina di fogli poi, esausto, rinuncio. Attacco la radio e spossato mi metto a letto. Giro frenetico per frequenze sconosciute prima di soffermarmi da qualche parte tra i 93 e i 94 megahertz ad ascoltare il nulla patinato. Potrei fare una delle mie belle telefonate, dacché lo speaker è particolarmente babbeo; potrei farla anche se non è uno dei soliti giorni preposti. Aspetto con ansia che l’imbecille sparacazzate dia il numero e mi fiondo: “Ciao, sono Alfredo, Alfredo Di Stefano, chiamo dalla Sicilia, da Barcellona Pozzo Di Gotto. Posso fare una richiesta?” sento un attimo di esitazione, forse il babbeo sta annusando l’inghippo.

“Sì, ciao… chi hai detto che sei, scusa?”

Voce melliflua, lenta, ben scandita, con un piccolo accento sudista “Alfredo Di Stefano. L’omonimo del calciatore, ma non ho vincoli di parentela” ci casca, sì che ci casca. Deve cascarci.

“Ciao, dimmi… che canzone vuoi?” ci casca.

“Oh, mi potresti mettere i S-Atolli?”

“Scusa, sento male, ci sono interferenze, che hai detto?”

“I S-Atolli, quel gruppo hip hop italiano”

“Sei sicuro del nome?” meno babbeo di quanto avessi pensato.

“Beh, sì… li ho visti anche in televisione la settimana scorsa, credo siano appena usciti”

“Scusa, ma non mi risulta. In ogni caso non abbiamo quel gruppo in radio, puoi cambiare titolo per favore?”

E’ andata buca, bisogna capire subito quando è il momento di mollare la presa “nessun problema, metti quello che vuoi, basta che lo dedichi al mio amico Banana. Grazie”

“Grazie a te”.

Nemmeno con i babbei mi va bene. Aspetto una decina di minuti giusto per scoprire la scelta che mi riserva, e manco inorridisco quando ulula che Alfredo Di Stefano da Barcellona Pozzo di Gotto ha richiesto gli Articolo 31 e li dedica al suo caro amico Banana. Sto scemo, si è fatto fare il dribbling al cervello. Arriverà anche il prossimo week end, mi dico. E con esso il mio compleanno.

Un Consiglio:

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/42120/pimlico/

Tre Parole:

“La nostra risposta alla violenza sarà fare musica più intensivamente, in modo più bello, più devoto che mai” (Leonard Bernstein)

“Tu non sei diffidente, e neanche timida. Hai solo bisogno di un’ottima ragione per scomodarti a conoscere qualcuno.” (Il Bacio dell’Angelo Caduto – Becca Fitzpatrick)

“Quando lo studente è pronto, il maestro compare” (Antico proverbio zen)

 Dieci Suoni:

 Sun Ra, Out There A Minute 1989

Pop Will Eat Itself, Box Frenzy 1987

Tim Buckley, Goodbye And Hello 1967

Bad Losers, Bad Losers 1986

Divine Comedy, Victory For The Comic Muse 2006

Throbbing Gristle, D.O.A. 1981

Pulp, Different Class 1995

In The Nursery, Twins 1986

Coldcut, What’s That Noise? 1989

Lydia Lunch, 13:13 1982

Autore: Michele Benetello

Ex un po’ di tutto, vivo da participio passato in mezzo a un gruppo funzionale costituito da due atomi di carbonio legati tra loro con un doppio legame, e tre atomi di idrogeno derivato dall’etene (etilene) per perdita di un idrogeno. Si chiama vinile. Mi piacciono le conchiglie, i cani, l’inverno e Cindy Crawford. Se rinasco vorrei essere Johnny Dean nell’esatto istante in cui indossa la giacca da ussaro a Top of The Pops. Per ora mi accontento.

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