Pimlico – Capitolo 10

[Se vi siete persi i primi capitoli del romanzo di Michele Benetello, in fondo al post trovate i link alle puntate precedenti]

 

“Grandioso! Serie A o B? In che anni? Non è che hai la figurina di tuo zio?”

“Serie B, non è mai arrivato in A. Per fortuna, altrimenti sai che palle a casa mia?”

“Ma era titolare?”

Dio, ho trombato la nipote di un giocatore del Genoa. Grandioso!

“Non sempre, viaggiava dal campo alla panchina per quel che ricordo; se la cavava comunque, a sentire i commenti di papi e Danny”

“Ruolo? In che anni ha giocato? Come si chiamava?” sono eccitato, giuro che sono eccitato.

“Eccheccoglioni! Sei più invasato per mio zio che per me. Basta dai!”

Okay okay okay, non incazzarti per carità, che poi se ti incazzi diventi acida, te la tieni stretta e io non so più come liberarmi di te.

“Passi per lo zio, ma proprio non c’è una squadra che ti risulti almeno un po’… Come dire… Simpatica?”

“Uff… Che palle! Mi piace il nome Paris St. Germain, ma sarà perché ho fatto tre anni di francese. È una squadra, se non ricordo male, vero?”.

Un po’ pochino, per la verità, Saint Etienne sarebbe stato molto meglio, per tutta una serie di motivi e riferimenti, ma non si può aver tutto dalla vita. Piuttosto, a pensarci bene… Com’è che ho inserito nella mia playlist del 1996 quegli sfigati degli Smashing Pumpkins? Non è proprio da me, stonano in una maniera vistosissima all’interno di quella lista di nomi luccicanti… Billy Corgan vicino a Billy Bragg? Un insulto, un vero e proprio insulto. Dev’essere stato a causa di 1979, che mi rammentava in maniera spudorata i Sound e i primissimi Cure. Ora dovrei andare a controllare se davvero in quell’anno ho inserito gli Smashing Pumpkins, ma se lo faccio mi prende per il culo fino alla morte, d’altro canto non riesco a raggiungere l’agenda senza che lei non se ne accorga. Una scusa plausibile è altrettanto difficile da trovare. Dovrò fidarmi sulla parola.

“Sai che mi piaci?”. Chissà perché la mia bocca si trova a pronunciare queste parole.

“Cazzo, tu si sai come si rende felice una donna Mr. Iceberg”

“Mi sembra di averti illustrato la mia situazione…”

“Non mi hai illustrato un bel nulla, mi hai solo accennato riguardo un caotico ingorgo sentimentale. So che vi siete separati e so qualche altra cosa di scarsa importanza. Vuoi parlarne?”

“Non credo. Non ora. Non ha importanza” perché torna su questi argomenti a intervalli brevissimi?

“Ho capito: è una specie di dogma incrollabile sul quale io, pecorella smarrita, dovrò faticare a lungo. Uomini stronzi ed affascinanti sui quali sono sicura cadrò periodicamente, non spesso ma periodicamente, e ai quali riuscirò a far fronte”.

“La prima volta che ti ho visto è stato come se mi fosse risuonato un colpo di frusta dentro la scatola cranica. Mi sembrava di conoscerti da sempre, anche se ci ho messo alcune settimane per trovarmi invischiato su di te. Non so se sia un discorso karmico, di reincarnazione. Probabilmente ci siamo conosciuti qualche vita fa e ci portiamo avanti reciprocamente l’attrattiva”.

Per quello abbiamo la colite e parliamo dei Fuxa, tutto si spiega.

Si gira sorpresa e mi bacia la spalla, ricominciando a parlare “Posso chiederti una cosa?” mi guarda con una specie di risatina triste.

“Spara, avvertimi però se è imbarazzante che ti rispondo tenendo chiusi gli occhi”

“Dove o da chi hai imparato a baciare in quel modo? Ammetterai che è strano, piacevole ma strano”.

Certe volte le domande più stupide sono quelle che rasentano la genialità; ci vuole una mente ben allenata per notare queste cose, per immaginarsele. Bisogna essere oltre la linea di demarcazione che ci divide dalla mediocrità. È come guardare la televisione e notare i riflessi sullo schermo, o specchiarcisi, evitando volontariamente di guardare i programmi. E in ogni caso, a me non pare proprio per nulla strano. Che vorrà dire, strano, in casi come questo? Strano in senso buono o strano strano?

“La domanda suona singolare in effetti, ma meno di quanto il genere umano possa pensare. Se hai notato qualcosa allora vuol dire che non ho speso la mia adolescenza invano.”

“Voglio saperlo, sono curiosissima” appoggia i gomiti sul letto, si mette a pancia in giù e puntellando il mento con le mani. Non posso fare a meno di guardarle il culo. Te lo faccio sapere dopo, adesso posso io depositarmi dentro di te?

“L’ho imparato da solo, sui miei dischi dei Felt, su Black Snake Diamond Role di Robyn Hitchcock, su It’s Kinda Funny dei Joseph K, sugli intarsi chitarristici di Roddy Frame degli Aztec Camera, sui refrain di Johnny Marr, su Thomas Leer, su Saeta di Nico, sui singoletti pop da lacrimucce scolastiche che non vuoi dividere con nessuno. Su Never Turn Your Back On Mother Heart. Voglio dire, non che io mi baciassi i polsi per fare pratica, è che mi viene spontaneo proprio per essere stato plasmato da quei suoni…” in pratica le sto declamando l’ode del nerd sfigato che passava l’adolescenza da solo mentre i suoi coetanei andavano di petting in qualche cinemino di periferia, questo in soldoni. Ma la sto mettendo giù poeticamente per far bella figura.

“…tutto qui, non c’è nessuna leggenda urbana da raccontarti, sarebbe stato molto più avvincente se ti avessi rivelato, chessò, di essere stato svezzato da una norvegese quarantenne, o da una vicina di casa alla quale piaceva traviare gli adolescenti. O al mare da tre tedesche allupate. Nulla di tutto questo. Purtroppo o per fortuna. Soltanto uno sfigato e timido adolescente, che ascoltando dei vinili particolarmente toccanti si immaginava chissà che razza di amore purissimo dovesse riservargli la vita. L’incredulo coglione, sempre pronto a fantasticare”.

“Metà di quei nomi non li ho nemmeno mai sentiti nominare, Joseph cosa? Roddy Frame? Magari non ero nemmeno nata, ma se questi sono i risultati prodotti” mi sfiora con un dito che profuma di lei e parla pianissimo “allora è il caso che tu me li faccia conoscere al più presto. Continua, dai! Continua…” continuo davvero?

“Adesso è molto più difficile per un adolescente riuscire a plasmare le proprie aspettative sentimentali su qualche minuto di musica… Con cosa lo possono fare? Con i Coldplay? Non troverei adatti nemmeno i Keane o i Radiohead. Forse i Sigur Ros, ecco. Ma c’è poca roba in giro destinata ad assolvere questo compito” mi guarda stupefatta, imbarazzandomi, e cominciano ad arrossarlesi gli occhi. Ma sono così romantiche le nuove generazioni? Avessi fatto un discorso simile a qualche mia rocciosa coetanea qualche anno fa, mi avrebbe guardato come se fossi stato il Mostro di Marcinelle, prima di chiedermi se mi muovevo a portare a termine la copula e di sputtanarmi davanti a tutti gli amici. Forse Sendero Luminoso, nella sua disconnessa follia, avrebbe potuto capire, o quantomeno non giudicare.

“Perchè hai gli occhi lucidi? I miei baci portano a tanto?”

“Niente, mi chiedevo perché un tipo così particolare è attratto da una con i fianchi larghi come me”

“Beh… Mi piaci, tutto qui, semplicemente mi piaci” mi piace, davvero, magari esserne innamorato è un’altra cosa, però mi piace “mi piacciono anche i tuoi fianchi larghi”.

Dopo il sesso le donne necessitano di abbracci e complimenti al loro corpo, si scoprono indifese, timide e si sentono tutte, chissà perché, un po’ puttane per aver provato l’orgasmo.

“Ti piaccio davvero o lo dici perché ho bisogno di essere stretta tra le braccia come qualsiasi altro essere umano?”.

“Mi piaci davvero, mi piaci come Goodbye And Hello di Tim Buckley, come gli orologi molli di Dalì, come Sleep Now di Peter Hammill, come la panna montata sulla cioccolata fumante. Mi piaci, mi ecciti, mi basta toccarti. Asciugati gli occhi e vieni più vicino”.

 

Mi piace, ci sto bene, cosa vuole di più, un Lucano? Per ora mi piace l’involucro, ho appena cominciato a scartarla, e non trovo malaccio nemmeno ciò che è racchiuso dentro. Non armeggio più come se fosse un Uzi carico. Ma continuo a odiare le domeniche, se presuppongono un lunedì lavorativo. La domenica può essere il giorno più delizioso del tuo intero metabolismo, a patto abbia un paio di agevolazioni; deve avere  un giorno libero a seguire e poi  deve essere piovosa, uggiosa, triste. E devi essere a casa tua, tra una manciata di compact e una bottiglia di Cognac oscillando tra autocompiacimento e autocommiserazione. Del resto il mio istinto mi ha sempre guidato, e per uno che odia il sole e l’estate (‘Diffidate dell’estate, perché in estate la gente è allegra, e quando la gente è allegra ne approfitta’. Questa è mia, dovrebbe risalire al 1984) le fosche domeniche di novembre sono terapeutiche e rilassanti.

Però è aprile inoltrato. Monroe è sparita in fretta nel primo pomeriggio (un paio d’Uzi e mezzo pacchetto di Gauloises dopo), vestendosi a strati tra una stanza e l’altra dicendo velocissimamente che: insomma-doveva-andare-assolutamente-a-casa-non-poteva-fermarsi-a-pranzo-sì-lo-sapeva-che-saremmo-riusciti-ad-imbastire-un-pranzetto-con-i-fiocchi-e-poi-sì-sì-sentiremo-la-mancanza-reciproca-certo-che-io-ti-chiamo-non-vedo-perchè-tu-non-possa-però-fare-altrettanto-spero-che-non-sia-finita-qui-ma-non-mi-sembri-il-classico-porco-hai-la-faccia-buona-fai-un-pò-di-pulizia-in-questa-stanza-che-se-arriva-qualcuno-si-spaventa-tanto-non-deve-mica-arrivare-nessuno-vero-ciaociaociao-bacetti.

 

Tutto questo in nemmeno dieci secondi netti. Ma io non aspetto nessuno, cazzo. Comincia a dare ordini? Non è nemmeno una bionda naturale. Ho capito che sono tinti mentre la stavo scalando, quando ho notato una leggera ricrescita. Ho fame. Di andare in rosticceria non se ne parla, odio quegli odori, e poi dovrei impedirmi categoricamente di mangiare fritti, ma io baro con me stesso. Ho il mio pusher che mi vende i sacchetti di patatine sotto banco. Mi faccio 3 Ciocorì (normale, latte e ai sei cereali) perché bisogna variare l’alimentazione e un caffè prima di godermi qualche rarefatto minuto di serenità; è come se avessi perso la verginità una seconda volta. Disteso sul letto con le mani intrecciate dietro la testa ed un sorriso ebete stampato in faccia. Lustri di intensa monogamia e poi in poche ore una Lolita viene a sconvolgermi la vita e il pisello, prima che il telefono cominci a squillare ad un’ora imprecisata: è Lino. Ho ancora il sorrisino ebete stampato in faccia. “Ciao stuprapaperelle. Sei…Solo?” Che cosa sa, se sa? E perché sa sempre tutto?

“Ciao Lino, perché non ti sei fatto vedere ieri sera?”

“Non cominciamo con le paranoie, avevo da fare. Io sono un cane sciolto, e quando ho voglia di spulciarmi non mi faccio vedere… Mi sembra comunque non ci fosse posto per me nel lettone, o no?” mi correggo, ha fatto tre passaggi a spirale nei quali affiorava una latente omosessualità. Ma è cosa da poco, adesso. Vorrei sapere come fa ad avere già la situazione in mano.

“E tu come lo sai?” Sì, appunto: dimmelo.

“Elementare mio fido scudiero. È bastato un aperitivo mattutino da Luigi, dove ho trovato un paio di personcine con le quali hai smangiucchiato all’alba” traditori “Poi, sono passato sotto casa tua qualche ora fa ed ho visto un notevole esemplare di specie umana che scendeva di corsa le scale con un’aria beata e con gli occhi lucidi dalla gioia; evito di scendere in commenti particolareggiati sulle curve del notevole esemplare di specie umana, altrimenti ti incazzi. E avresti dannatamente ragione, perché sai che non faccio prigionieri.”

Mi fa paura quando dice così, sembra una belva assetata di sangue.

“Allora rispondi solamente a questa domanda, dai una scossa di scala Richter al mio ego: secondo te è già innamorata di me?”

“Sicuro fratello, anche perché gliel’ho chiesto.”

“Cosa? Come hai potuto? Come ti permetti, sei scemo?”

“L’ho fermata con la solita discreta faccia tosta e le ho chiesto se stavi dormendo, mi sono presentato e poi, con l’aria del vecchio e giudizievole padre di famiglia l’ho guardata buttando un noncurante le piace vero, signorina? Ha riso, ha incominciato a volare e credo che mi abbia scambiato per uno zio illuminato. Sono un grande! Dovevo fare lo psicologo, io, ma se l’avessi fatto la deontologia professionale mi avrebbe impedito di trombarle tutte”.

Pare Henry Kissinger quando fa così. Stima imperitura al vecchio Linoleum.

“Sei un grande. Davvero. Hai la cena pagata Lino, ore ventuno al solito posto.”

“A stasera fratello. Ah, l’hai fiocinata? Non dirmi che non…”.

“Fio…fiocinata???”

“Ah bon, meno male. A parte che ti serviva proprio una copula terapeutica, ricorda: ci sono più santi che nicchie, bye”.

 

Passo il pomeriggio chiedendomi che avrà voluto dire con quella storia di santi e nicchie e a riguardare i CD che ancora devo ascoltare e che giacciono ordinatamente accatastati alla destra del mio letto senza che io abbia la minima idea di come abbiano potuto finirci, colto dal sottile panico indotto da pensieri orrendi riguardo agli stessi: basterebbe un incendio, o un furto con atto vandalico incorporato per uccidermi o indurmi al suicidio. Se mi uccidessi dopo aver trovato, una sera, di ritorno da qualche gioiosa festicciola, la casa e le librerie svaligiate, nude, spoglie, autunnalmente morte; beh, in questo caso sarebbe suicidio o omicidio indotto? Tento di accendere la radio ma è un lavoro che va fatto con una certa preparazione e con piena concentrazione, sono sempre costretto a tenere la mano incollata alla manopola delle frequenze per non rovinarmi i padiglioni auricolari, di conseguenza mi distoglie da lavoretti che avevo intrapreso. Rock dietetico in sottofondo, su qualche stazione mal sintonizzata. Chiudo e con il naso appoggiato alle fredde finestre solo per vedere la condensa, mi fermo ad ascoltare la pioggia pensando ai peggiori esordi della storia, ed oltre a Supersonic degli Oasis, al singolo dei Ministry e a quella cazzata hardcore dei Beastie Boys non mi sovviene nulla. Perdo colpi. Aprile, ancora un paio di questi week end ben di Dio e poi di colpo, come un pugno assestato da Lino arriverà l’estate, il caldo, la sabbia. La sabbia è come i coriandoli di quando eri bambino, che te li trovavi nell’ombelico anche dopo una doccia al mare in luglio. Vivono di vita propria? Sono organismi parassiti? Arriverà il sudore appiciccaticcio, quello che ti gocciola addosso anche se ti fermi dieci secondi a guardare MTV (Empty V?), arriveranno gli schiamazzi notturni dei ragazzini in scooter (perchè scooter e non il caro, buon vecchio motorino?), i gelati e le famigliole. Il mio letargo. Comunque, volevo trovare qualche gran furbacchione talentuoso che venisse a dipingermi qualche slogan sul muro di quella cosa che nessuno si sognerebbe mai di chiamare salotto, ma che comunque, nelle mie intenzioni vale più di mille residenze estive. Qualcosa che oscilli tra Helter Skelter e Floating In Space, tra In Heaven (Everything Is Fine) e Art Is A Three Letter Word. Ci penserò meglio, potrei chiedere consiglio anche a Monroe. Ma devo stare attento, una scritta su un muro non è una cosa da nulla, è come un tatuaggio, come un diamante, è per sempre. E non può intervenire in una delicatissima scelta una deliziosa ragazza conosciuta nemmeno ventiquattro ore prima. Una ragazza che non chiama anche se sono le sette e venti. Mi devo preparare per la cena con Lino e sono in down come uno yuppie dopo un sabato di cocaina. Non voglio uscire, voglio continuare ad lib il mio corso di autocompiacimento e autocommiserazione, rimanere a casa ad ascoltare My Funny Valentine aspettando una telefonata che potrebbe non arrivare mai.

 

‘How Soon is Now?’  – The Smiths

 

Festa speciale per me, mi abbiglio come un damerino vittoriano in parata sportiva – scarpe da ginnastica stile NBA, pantaloni di due taglie più grandi in perfetto stile militare, maglietta di Andy Warhol rigorosamente nera e felpa con il logo della Apollo Records -, sembro una versione sciatta e campagnola del primevo John Foxx, per una stupida cena con Lino.

Lui, al solito ultrarasato come una palla di biliardo, muscoli in evidenza, jeans e residuati di abbronzatura – non so dove si abbronzi, odia le lampada ed al mare non ci va mai – ; la prima impressione è che ci scambino per due gay d’altri tempi. Ma non ho le scarpe bianche, e comunque al bar, dove ci troviamo per bere il solito aperitivo che da per consuetudine inizio alle danze – Lino credo sia al quindicesimo della giornata, non scherzo – nessuno ci fa caso. Sono tutti troppo impegnati a chiedermi chi era quella Barbarella elettrica da polluzioni notturne che mi accompagnava la notte scorsa. Il mio ego ringrazia. Ci fa caso invece il cameriere del ristorante rustico che ospita le nostre scorribande culinarie, ci guarda con un’occhiata indecisa, non sa se abbordarci o farci sloggiare. Lino vorrebbe provocarlo. Si diverte come un pazzo, lui. Io parlo solo di Monroe…Tre confusi maschi bianchi. Quando torno a casa, all’una e mezza circa, c’è un messaggio in segreteria. Con il più completo autocontrollo di cui dispongo e con la potenza dei freni inibitori mi costringo da ascoltarlo il mattino dopo. Non so di chi sia e cosa dica, ma voglio sperare che non sia qualcuno che cerca di vendermi dell’olio d’oliva o la Vodafone.

 

 

Un Consiglio

http://ilmiolibro.kataweb.it/libro/narrativa/42120/pimlico/

 

Tre Parole

“A volte sono spaventato di essere Ozzy Osbourne. Ma mi sarebbe potuta andare anche peggio. Avrei potuto essere Sting.” (Ozzy Osbourne)

“Ricordo di aver sentito dire una volta che c’è qualcosa di fatale nelle buone intenzioni: arrivano sempre troppo tardi” (O. Wilde)

“Leggo per legittima difesa” (Woody Allen)

Dieci Suoni

Brian Ferry Let’s Stick Together 1976

Pink Industry Low Technology 1982

Residents Eskimo 1979

Paris Secrets On Tape 2005

Barry Adamson Moss Side Story 1989

Monochrome Set Love Zombies 1980

Datarock Datarock 2006

The KLF Chill Out 1990

Campag Velocet Bon Chic Bon Genre 1999

DJ Food Jazz Brakes Vol.5 1994

 

[Trovate i capitoli precedenti qui: Capitolo 1Capitolo 2Capitolo 3Capitolo 4Capitolo 5Capitolo 6Capitolo 7Capitolo 8, Capitolo 9]

Autore: Michele Benetello

Ex un po’ di tutto, vivo da participio passato in mezzo a un gruppo funzionale costituito da due atomi di carbonio legati tra loro con un doppio legame, e tre atomi di idrogeno derivato dall’etene (etilene) per perdita di un idrogeno. Si chiama vinile. Mi piacciono le conchiglie, i cani, l’inverno e Cindy Crawford. Se rinasco vorrei essere Johnny Dean nell’esatto istante in cui indossa la giacca da ussaro a Top of The Pops. Per ora mi accontento.

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