C’erano un iraniano, un cileno e due romeni…
No, non è una barzelletta, ma la nazionalità dei film migliori visti quest’anno alla rassegna milanese Le Vie del Cinema, una selezione di film presentati al Festival di Cannes, oltre a qualche titolo proveniente dagli ultimi festival di Berlino, Bergamo, Torino e dal Far East Film Festival di Udine. Un vero e proprio giro del mondo attraverso il cinema, grazie a questa rassegna di qui ho visto 13 film nella settimana di programmazione in giugno. Quattro sono quelli che più mi hanno colpito.
“Neruda” di Pablo Larrain è stata una conferma, ennesima opera di un regista che amo, che in questo film si cimenta con uno dei personaggi storici più importanti della sua terra, il Cile.
Pablo Neruda, che noi associamo più facilmente alla sua opera come poeta, nel film di Larrain è rappresentato in tutta la sua potenza carismatica di uomo politico, nel periodo del neonato governo del Presidente Videla, che dopo essere stato eletto nel 1946 grazie all’appoggio del Partito Comunista, lo dichiarerà subito dopo fuorilegge iniziando così una persecuzione verso tutte le figure di spicco del partito, tra cui lo stesso Neruda.
Il film narra la latitanza del poeta e mette in scena tutta la passione per il suo Paese e per la vita. Infatti nonostante i pericoli e un commissario perennemente sulle sue tracce, interpretato da un perfetto Gael Garcia Bernal, non rinuncerà a godersi i piaceri della carne infilandosi alla prima occasione nei bordelli in cui è sempre l’ospite più popolare e gradito.
Le meravigliose immagini e i dialoghi profondi e colmi di significato, nella migliore tradizione della letteratura cilena contemporanea (vedi Roberto Bolano), trasformano l’opera in una celebrazione della cultura di un paese che da qualche anno si è imposto come uno dei più interessanti laboratori artistici a livello mondiale.
Il regista iraniano Asgar Farhadi, dopo il capolavoro “Una separazione” del 2010 e il deludente, almeno per me, “Il passato” del 2013, torna in stato di grazia con “The salesman”.
Anche in questo caso, partendo da un’avvenimento grave, che colpisce l’intimità di una coppia molto affiatata, il regista ci racconta una storia che analizza tutte le contraddizioni di una cultura bloccata nella sua voglia di progredire dalla zavorra rappresentata dalle tradizioni e dalle convenzioni sociali, tra cui, molto importante, il ruolo della donna nella società iraniana.
Rispetto alla apparente semplicità di narrazione delle opere precedenti, qui si aggiunge la rappresentazione di un classico del teatro americano, Morte di un commesso viaggiatore, messa in scena dai protagonisti contemporaneamente ai fatti della narrazione del film, che mette in luce in maniera molto intensa il contrasto vissuto dai personaggi tra il drammatico quotidiano e i personaggi interpretati in scena.
Il cinema rumeno quest’anno ha presentato a Cannes le opere di due dei suoi più interessanti registi, ormai da qualche anno beniamini dei più importanti festival cinematografici.
Apprezzamento più che meritato dato che “Bacalaureat” di Cristian Mungiu e “Sieranevada” di Cristi Puiu sono due dei migliori titoli della rassegna.
“Bacalaureat”, nella migliore tradizione del regista, narra i tormenti di un padre disposto a qualunque cosa pur di riuscire a far studiare all’estero la figlia col beneficio di una borsa di studio. Nonostante le sue convinzioni e il suo disgusto per la corruzione che sembra ormai pervadere ogni livello di umanità nel suo paese, finirà proprio per confrontarsi con la sua umanità e le scelte che lo hanno portato a quel preciso momento della sua esistenza.
Film intenso e grave, soprattutto per l’ansia che ci viene trasmessa dal protagonista nel suo girovagare, a volte senza senso, alla sua ricerca di una soluzione al problema che lo assilla, il film di Mungiu risulta comunque più scorrevole e fruibile delle 3 ore di “Sieranevada”.
Il film di Puiu infatti si svolge quasi interamente all’interno dell’appartamento attraversato nell’arco di una giornata da una grande famiglia, riunita per l’occasione di una celebrazione funebre secondo un rituale quanto mai bislacco e desueto.
Anche in questo caso la varietà dei personaggi, molto differenti per età e formazione culturale, finisce per rappresentare un intero popolo alle prese con dubbi e domande sulla possibilità di ricercare un vero progresso di civiltà nonostante il peso delle antiche tradizioni che, risultando ormai ridicole benché inevitabili, rischiano di affossare continuamente questo afflato alla modernità.
Il film mette in scena inoltre delle dinamiche tra i personaggi che potranno risultare familiari, in tutti i sensi, soprattutto a chi ha l’abitudine di celebrare in famiglia le ricorrenze di Pasqua e/o Natale, seduti intorno a un tavolo con persone che incontriamo una volta l’anno e ci accorgiamo di non conoscere affatto.
Oltre ai paesi di cui sopra, la rassegna quest’anno mi ha permesso di visitare anche il Brasile (“Aquarius”, sopravvalutato veicolo promozionale per Sonia Braga), la Spagna (“Julieta”, un tradizionale ma piacevole Almodovar), l’Islanda (“L’effect aquatique” lo sciocco film postumo di Sólveig Anspach), l’estremo nord del Canada (“Two lovers and a bear”, presuntuosetto film di Kim Nguyen), il Giappone (“Tokio Love Hotel”, pessima commedia giovanile, pure doppiata, abbandonata a metà proiezione), la Francia (“Juste la fin du monde”, irritante ultimo film dell’ancor giovane Xavier Dolan) e addirittura l’Afghanistn rurale (“Wolf and sheep”, basato sui ricordi di ragazzina della regista Shahrbanoo Sadat).
Anche l’Italia si è meritata una visita con ben due film, entrambi a loro modo interessanti e godibili: “Fiore” di Claudio Giovannesi, delicata storia di una giovane delinquente in carcere minorile e della possibilità di un amore che potrebbe aiutarla a liberarsi da un destino apparentemente segnato, e “La pazza gioia”, ultimo film di Paolo Virzì, che racconta il disagio mentale e l’incapacità di adattarsi in una società ormai priva di moralità, ben sostenuto dalle due protagoniste, Micaela Ramazzotti e l’incontenibile ma affascinante Valeria Bruni-Tedeschi.
Il cinema, e queste rassegne in particolare, sono una continua conferma di quanto sia importante viaggiare e conoscere luoghi e culture, oltre che linguaggi, manierismi e piccoli dettagli che caratterizzano popoli che rischiamo di non comprendere facendo semplice turismo.
Soprattutto è la conferma di quanto possa essere piacevole farlo seduti in una comoda poltrona, coccolati dal buio della sala e, in stagione estiva, rinfrescati dall’aria condizionata, specie se si sceglie un posto laterale per poter fuggire senza disturbare quando lo spettacolo non ci aggrada.