Parlando di cinema, mi capita spesso di mettere a confronto la prevedibilità dei film prodotti dall’industria cinematografica, quella dei blockbuster e dei cinepanettoni per intenderci, con la libertà espressiva e creativa che spesso è possibile trovare in piccoli film indipendenti.
Un esempio eclatante degli ultimi anni è il proliferare di film con supereroi, che mostrano giovani baldanzosi, spesso in calzamaglia, sempre pronti a sfoderare muscoli o armi iper-tecnologiche.
Anche gli appassionati di fumetti (tra cui il sottoscritto) da cui i film vengono tratti, non possono che restare delusi il più delle volte dalla visione di tali opere, il cui unico scopo è fornire due ore di puro intrattenimento a base di combattimenti ed effetti speciali, che a furia di vederli sembrano sempre meno speciali.
Per fortuna, come in ogni cosa, anche in questo caso abbiamo l’eccezione che conferma la regola: finalmente è arrivato sul grande schermo il più interessante, almeno per me, supereroe della Marvel, il Doctor Strange, ovvero il Signore delle Arti Mistiche.
Per i pochi interessati ai comics di gente strana con poteri ancora più strani, è bene sapere che il Doctor Strange è sempre stato un personaggio al di fuori dei soliti schemi.
Mentre la maggior parte dei supereroi in calzamaglia interagisce con i normali esseri umani nel presunto mondo reale, il Doctor Stephen Strange si occupa sin dall’inizio della sua attività di magia nera, esoterismo, dimensioni alternative, esseri sovrannaturali e via dicendo.
Il personaggio nasce negli Anni ’70 dalla fantasia di Stan Lee, come molti altri eroi della Marvel, ma con le soluzioni grafiche di uno dei migliori disegnatori dell’epoca, Steve Ditko, diventato famoso per il suo stile psichedelico estremamente personale, che molto deve agli studi condotti in quel periodo legati all’uso delle sostanze psicotrope come mezzo per allargare i confini della mente, conoscere se stessi e superare i propri limiti.
La conoscenza è proprio il campo d’azione di questo bislacco supereroe, che prima di diventare un mago è già un geniale quanto arrogante chirurgo dall’ego smisurato, con un’incrollabile fede nella scienza e nelle sue abilità, che però andranno perdute in seguito ad un terribile incidente d’auto.
Una volta perso l’uso delle mani, al povero Dottore, non resta che provare ogni soluzione chirurgica possibile, e quando anche la scienza si rivela inefficace, ha inizio il suo percorso di rinascita, che prende avvio proprio dallo studio e dall’accrescimento della conoscenza.
Conoscenza che gli viene impartita da un misterioso personaggio, soprannominato l’Antico, e che si basa prima di tutto sulla consapevolezza che nessun essere umano può conoscere tutto quello che c’è da sapere, quindi arrogarsi il merito di sapere tutto non fa che limitare le possibilità di un individuo di poter crescere ancora, di migliorarsi.
Sulla base di questo piccolo insegnamento, il Doctor Strange comprenderà infine le sue reali, si fa per dire, potenzialità e da questo momento inizierà la rinascita.
C’è una scena nel film in cui il protagonista mostra tutto il suo scetticismo, quasi disprezzo, nei confronti delle discipline orientali, l’esoterismo e la new age, ed è il momento in cui lo spettatore si connette maggiormente con il personaggio, creando così un legame, rafforzato dal largo uso di ironia nella sceneggiatura, che, oltre a rendere il personaggio estremamente umano pur muovendosi in ambito fantastico, rende il suo percorso nei territori della magia verosimile.
Nel cast, perfettamente assemblato, spiccano ovviamente il protagonista, Benedict Cumberbatch, che nei panni del Doctor Strange riesce molto bene a umanizzare il suo personaggio in ogni momento del film, così come Tilda Swinton nei panni dell’Antico, che con una scelta di casting davvero azzeccata, priva di ogni abbellimento estetico femminile, dà vita a un personaggio che rappresenta l’essenza di ciò a cui ogni essere umano potrebbe ambire se decidesse di estendere i propri limiti.
Non dimentichiamo però che trattasi pur sempre di blockbuster americano con la sua dose massiccia di effetti speciali, i quali, almeno questa volta, si rivelano proprio specialissimi, non tanto perché inediti (in effetti sono un’evoluzione di quelli visti in Inception di Christopher Nolan), ma perché totalmente al servizio di una bella storia.
Preparatevi a guardare la realtà da ogni punto di vista possibile e a viaggiare in dimensioni alternative e in mondi paralleli grazie al potere della mente, perché questo è quello che l’Antico promette al Doctor Strange, e a noi spettatori, se egli crederà.
Perché in fondo è questo che facciamo ogni volta che vediamo un film, soprattutto al cinema, ovvero crediamo a quello che stiamo vedendo, non importa quanto assurdo, fantasioso, fantascientifico possa essere; l’importante è che, nelle condizioni in cui la storia viene raccontata, tutto ciò che osserviamo sia verosimile.
Perché verosimile non significa vero, ma solo possibile in una diversa realtà.
Una realtà che deve basarsi su degli elementi solidi, ovvero una sceneggiatura ben funzionante, con dialoghi credibili e non stupidi, degli attori che infondano umanità e passione nei personaggi da loro interpretati, degli effetti visivi che siano non solo speciali ma anche, e soprattutto, emozionanti.
Tutti elementi che, a mio avviso, quando ben bilanciati, come in questo caso, danno vita ad una vera e propria magia, una magia che avviene in questa realtà grazie all’impegno di esseri umani come noi, che credono che tutto ciò sia possibile e lo rendono visibile.
A noi, che andiamo al cinema.