Il cuore puro del cinema italiano

Quest’anno al Festival di Cannes sono stati presentati sei film italiani suddivisi nelle varie sezioni, ma nessuno nel concorso principale.

Tra questi c’era “Fortunata”, con la regia di Sergio Castellitto, da un romanzo della moglie Margaret Mazzantini, ma, nonostante la presenza di due attori che amo molto, Jasmine Trinca e Alessandro Borghi, ho accuratamente evitato di vederlo, causa naturale intolleranza nei confronti della ditta Castellitto/Mazzantini di cui sopra.

Più interessanti sembrano invece “Dopo la guerra”, dramma familiare borghese anni ’70 con Giuseppe Battiston e Barbara Bobulova, e “Sicilian Ghost Story”, della coppia di registi Piazza e Grassadonia, già premiati a Cannes con il precedente film “Salvo”.

Purtroppo non sono ancora riuscito a vedere nemmeno questi due film, e neppure altri due titoli apparsi al Festival: “L’intrusa”, di Leonardo di Costanzo, e “A Ciambra”, dell’italo-africano Jonas Carpignano.

Perché allora parlare dei film italiani a Cannes? Perché ho avuto la fortuna di vederne almeno uno su sei, e sinceramente faccio fatica a pensare che qualcuno di quelli nominati qui sopra possa superare per intensità e poesia l’opera prima di Roberto De Paolis, dal bel titolo “Cuori puri”.

Il bellissimo film del giovane regista romano (classe 1980) parla di periferia, la periferia degradata della sua città, ma parla anche di volontariato, quindi indirettamente di politiche sociali, e affronta temi importanti, quali il cattolicesimo religioso e la castità sessuale dal punto di vista dei giovani di oggi.

Tutti temi difficili, da far rizzare i peli dalla paura a qualunque regista, figuriamoci a un giovane regista italiano al suo primo lungometraggio, vista anche la difficoltà delle istituzioni culturali del nostro paese nel supportare il nuovo cinema d’autore ostacolando così la crescita dei nostri, alcuni bravi, cineasti.

Eppure De Paolis è riuscito a parlare in modo preciso e coerente di tutto ciò, aggiungendo anche il racconto di una intensa storia d’amore tra due giovani alle prese col disagio di crescere in un ambiente ostile ma nel rispetto della propria etica e con la volontà di fare le proprie scelte liberamente.

Stefano è un ragazzo con una famiglia difficile, madre vittima e padre pelandrone, che tenta di sbarcare il lunario come può, cercando, se non quando costretto, di non rinunciare alle proprie idee e alla propria morale.

Agnese è una ragazza appena diciottenne, vessata dal soffocante amore di una madre single che cerca di instradarla su un percorso rassicurante intriso di etica cattolica e castità, per evitarsi troppe preoccupazioni in futuro, ma impedendo così alla figlia di maturare la confidenza e la stima in se stessa che possa aiutarla a scegliere da sola la sua strada.

Casualmente i due giovani si incontrano all’inizio del film e sempre casualmente si ritrovano poco dopo, ed è stupefacente la naturalezza con la quale i due attori riescono a rendere palpabile il vigore del reciproco sentimento mentre, scena dopo scena, cresce fino a diventare amore incondizionato.

Grande merito agli attori, Simone Liberati, già apparso in piccoli ruoli in “Suburra” e “Il permesso – 48 ore fuori” di Michele Placido, e Selene Caramazza, nel ruolo della turbata e perturbante Agnese.

Liberati è perfetto nel ruolo di Stefano, con il giusto equilibrio di rabbia e ragionevolezza, maturato in un contesto sociale perfettamente rappresentato nel film, e la giovane Selene è assolutamente credibile nell’esprimere tutti i dubbi e le angosce di una ragazza che si sta affacciando alla vita adulta con un carico di responsabilità e sensi di colpa ereditato in famiglia.

Non guasta peraltro che entrambi i due attori siano di una bellezza naturale, sincera, senza artifici, ma innegabile, con una spontaneità che nemmeno una prolungata, ma perfettamente commisurata alla storia,  sequenza di sesso riesce a mettere in dubbio.

Ma il merito maggiore va sicuramente al regista, Roberto De Paolis, figlio del produttore cinematografico Valerio De Paolis, la qual cosa però non deve far pensare al classico nepotismo all’italiana, perché la misura e la sensibilità con cui egli racconta una storia solo apparentemente semplice, per la quale ha collaborato anche alla sceneggiatura, fa sperare nella nascita di un nuovo autore per il cinema contemporaneo italiano.

Oltre alla brava Barbara Bobulova, nel ruolo di una madre più che apprensiva, a far da contraltare ai dubbi e alle angosce dei protagonisti del film incontriamo la figura di un simpatico prete, Don Luca, interpretato con scioltezza da Stefano Fresi, noto caratterista per il cinema e la tv, che, nelle sequenze in cui insegna catechismo alla classe della quale anche Agnese fa parte, argomenta le scritture utilizzando brillanti metafore che, oltre a far sorridere, spiegano in maniera cristallina il significato dei testi sacri non solo ad un pubblico di neo maggiorenni, ma anche al pubblico in sala.

La cosa interessante è che usciti dal cinema anche noi dovremo capire come mettere in pratica quello che abbiamo appreso; come gli alunni dopo il catechismo, anche noi dovremo confrontarci con la vita vera, che spesso, come in Cuori Puri, assomiglia davvero tanto ad un film.

Autore: Gianfranco Taino

Ho un lato razionale e pragmatico che si manifesta nella facilità a lavorare con i numeri, nel tenere i conti e nell’essere preciso e affidabile, e una forte vena creativa che mi ha permesso di lavorare come consulente musicale per sfilate ed eventi, come giornalista e come deejay.

Commenta l'articolo

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *