Albert Serra: un nuovo maestro

Scoprire nuovi talenti, autori che possiamo considerare, anche a detta di critici più sapienti, dei nuovi maestri non è cosa che succede spesso, ma quando accade è una festa.

Quest’anno devo ringraziare gli organizzatori del Milano Film Festival e, soprattutto, il gruppo di giovani critici e studiosi di cinema d’autore che pubblica il magazine online Filmidee.it. Grazie a loro ho potuto godermi la visione di 3 minirassegne dedicate ad altrettanti maestri del cinema.

L’immenso Zulawski, grande regista polacco mancato all’inizio dell’anno, autore di un cinema surreale e disturbante, il francese Philippe Grandrieux, che dirige film particolarmente scarni di dialoghi e privi di narrazione lineare, non di meno interessanti, e, il mio nuovo regista preferito, Albert Serra, 40enne catalano con all’attivo 4 lungometraggi, oltre a corti e installazioni video per gallerie di arte contemporanea in tutto il mondo.

I critici di Filmidee hanno il merito di avermi presentato al meglio l’opera di Serra, con la proiezione di tutti e 4 i suoi lungometraggi (uno purtroppo non sono riuscito a vederlo) e una bella intervista dal vivo.

Il primo film che ho visto è l’ultimo da lui diretto, La mort de Louis XIV, presentato al Festival di Cannes quest’anno. Si tratta di un film molto importante per il regista perché è il primo girato fuori dal suo paese, per l’esattezza in Francia, con la partecipazione di attori professionisti, tra cui l’icona del cinema francese Jean Pierre Leaud, nel ruolo del sovrano del titolo.

Il film narra i dolori del Re di Francia, forse l’uomo più potente del mondo al suo tempo, da un punto vista tutt’altro che eccezionale, come ci hanno abituato le tradizionali rappresentazione delle ricche corti di Versailles. Louis XIV viene come spiato dalla cinepresa mentre passa lentamente le sue giornate fra incontri di corte, discussioni di politica e semplice svago solitario, sempre accompagnato dal dolore alla gamba che fin dall’inizio del film lo attanaglia e durante la narrazione peggiora sempre di più, fino a tormentarlo durante le notti insonni e portandolo alla morte, forse anche grazie all’inettitudine dei medici di corte.

Quello che colpisce maggiormente è la sensazione di assistere a reali accadimenti incastrati tra le righe dei libri di storia o nelle sequenze tagliate dai film in costume sulla corte di Francia. Nessuno prima ci aveva mostrato i tempi morti, fatto provare quello che i personaggi protagonisti della Storia provano sulla loro pelle, mostrato gli scatti d’ira immotivati, i momenti di dolcezza e inquietudine, la malinconia nei loro occhi e nei loro sospiri rassegnati.

Albert Serra lo fa in maniera magistrale, prendendosi tutto il tempo necessario, girando centinaia di ore di riprese ed eseguendo un lavoro certosino di montaggio perché ogni scena risulti della lunghezza perfetta per esprimere lo stato d’animo dei personaggi.

La sensazione, mai provata in modo così intenso al cinema, semmai qualche volta a teatro, è quella di essere presenti, testimoni di quanto sta accadendo nelle stanze buie ove si svolge l’azione, quasi spinti ad allungare una mano per portare conforto o per far accorgere gli altri della nostra presenza, nemmeno fosse un film in 3D.

Attenzione però, si tratta sempre di un film d’autore, con un linguaggio e un ritmo che non sono quelli codificati dal cinema hollywoodiano e dai cinepanettoni. Lo stesso Serra, presentando La mort de Louis XIV, ha detto scherzando che questo è il suo film più accessibile, lo dimostra il fatto che al termine della proiezione al Festival di Cannes il pubblico era ancora quasi tutto presente, mentre nei film precedenti si era prima decimato, poi dimezzato.

Superato lo scoglio di un’esperienza cinematografica fuori dai soliti schemi, si viene però ripagati con un respiro ed una poesia davvero rari al giorno d’oggi. Caratteristiche che ho ritrovato negli altri due film di Serra che ho avuto la fortuna di vedere nel corso della rassegna.

Il suo primo lungometraggio, Honor de Cavalleria (2006), liberamente ispirato all’opera di Cervantes sulle avventure di Don Chisciotte e Sancho Pancha, ci porta, come con Louis XIV, nei momenti non raccontati dal celebre scrittore, nelle pause tra un’avventura e l’altra, negli screzi tra il condottiero e il suo scudiero, molto divertenti peraltro, nei dialoghi tra lo scuderio e altri personaggi minori del racconto, curiosi di conoscere maggiori dettagli, come noi del resto, su questi bislacchi personaggi, le cui motivazioni appaiono inspiegabili.

Altro film meraviglioso, quanto impegnativo, è Historia de la meva mort (Storia della mia morte), il film del 2013 con cui Serra ha vinto un meritatissimo Pardo D’Oro al Festival del cinema di Locarno.

Il film racconta il viaggio del noto seduttore Casanova, sempre in compagnia del suo scudiero Pompeu, dalla sua villa in Svizzera fino ad una tenuta sperduta nei Carpazi, ospite di un fattore e delle sue tre, ovviamente deliziose, figlie.

La storia è incentrata sul personaggio di Casanova, che nei suoi monologhi anti-clericali, intrisi di logica illuminista, ci ricorda la modernità di un’epoca destinata a scontrarsi con i cambiamenti portati dal romanticismo e tutta la sua deriva di passione bestiale e irrazionalità, rappresentata nel film dal perfetto contrapposto al seduttore veneziano, il Conte Dracula, Signore dei Carpazi.

Il mistero incarnato da Dracula, con la sua promessa di vita eterna e il totale abbandono agli istinti animali e alle passioni incontrollate è troppo per Casanova, che si ritrova sopraffatto dai cambiamenti che la sua logica non è più in grado di spiegare.

L’opera risulta essere la perfetta metafora di un cambiamento epocale della società che solo un autore di grande sensibilità e cultura quale Albert Serra poteva condensare, pur con i suoi ritmi meditativi, in un film di due ore e mezza.

Ma è la personalità stessa dell’autore ad aver colpito più a fondo l’immaginario dei fortunati spettatori che hanno assistito all’incontro pubblico organizzato dai bravi critici di Filmidee.it.

La sua intelligenza e cultura, la sua passione per il cinema e per la vita, la sua semplicità e simpatia nel raccontarsi con sorprendente ironia hanno reso ancora più interessante e personale la visione e la comprensione della sua opera, ed è quando capisci di avere di fronte una persona con molte cose interessanti da raccontare che sai di aver conosciuto un vero maestro.

Autore: Gianfranco Taino

Ho un lato razionale e pragmatico che si manifesta nella facilità a lavorare con i numeri, nel tenere i conti e nell’essere preciso e affidabile, e una forte vena creativa che mi ha permesso di lavorare come consulente musicale per sfilate ed eventi, come giornalista e come deejay.

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