Quando ero bambina, mio padre rimase per un periodo senza lavoro. Il motivo importa poco, ma ricordo il suo vagare per casa spostandosi dal divano al letto e poi di nuovo al divano…
Oggi chiamerei quella situazione come depressione.
Che sia lieve o più grave, che passi rapidamente o si incancrenisca, dipende da molteplici fattori. Si tratta in ogni caso della reazione più comune alla perdita del lavoro, soprattutto se vissuta come un’ingiusta lesione della propria autostima.
Non avrebbe senso opporsi a questa fase di rabbia e frustrazione: si tratta di una reazione istintiva, di un “pacchetto” di emozioni negative che devono essere riconosciute, vissute e – al momento opportuno – lasciate andare. Per qualcuno, tuttavia, questo ultimo passaggio può non essere spontaneo: se la rabbia si trasforma in rancore e degenera in forme più o meno patologiche può avere conseguenze pratiche molto serie. Innanzitutto renderà estremamente difficile concentrarsi sulla ricerca di un nuovo lavoro; farà sì che la disponibilità e attenzione di familiari e amici si trasformi un giorno dopo l’altro in fastidio, se non addirittura in disprezzo; infine, una volta trovata una nuova occupazione, si resterà in attesa – seppur in modo inconsapevole – di ritrovarsi a ripetere l’esperienza negativa già vissuta.
Perdono e lavoro
Se stiamo vivendo una situazione di questo tipo un aiuto efficace ci può arrivare da una capacità personale troppo spesso trascurata: quella del perdono.
La maggior parte delle persone, sentendo questa parola, pensano al Vangelo o al Buddismo (o a entrambi!)
In realtà quasi ogni religione ha tra i propri fondamenti il processo del perdono, tuttavia perdonare non è un processo necessariamente di tipo spirituale. Chi non crede in “qualcosa” di più grande, un dio o un’entità come la natura o l’universo, può comunque utilizzare il perdono per i benefici che apporta in termini di sviluppo delle emozioni positive e, di conseguenza, resilienza.
Decidere di perdonare il nostro vecchio capo, i colleghi, l’azienda, i mercati finanziari… è innanzitutto questo: una decisione.
- Partiamo dal renderci conto che è avvenuto qualcosa che ci ha fatto soffrire molto – e quindi abbandoniamo l’aria da gradassi, e impariamo a dire esplicitamente “sto soffrendo perché essere senza lavoro mi fa sentire privo di stimoli; perché ho paura di non poter assicurare il necessario ai miei figli; perché temo di non riuscire più a trovare un’occupazione etc.”
- Mettiamoci nei panni degli altri, o cerchiamo di vedere il tutto da un diverso punto di vista: come si sarà sentito il tuo capo nel dover scegliere se licenziare te o un altro? Cosa sarebbe successo se l’azienda non avesse avviato un piano di ristrutturazione? Questo è un passaggio estremamente critico, che viene reso via via più facile dal trascorrere del tempo… ma con un po’ di allenamento lo si può rendere più precoce, e abbreviare pertanto il “periodo di rancore”.
- Pensiamo a quando ci siamo trovati in situazioni paragonabili. Ad esempio, quando abbiamo dovuto cambiare la tata o il commercialista, perché non soddisfacevano le nostre aspettative. Come ci siamo sentiti? Come ci sentiamo ora, pensando che quelle persone possano provare ancora rancore nei nostri confronti? Cosa dovremmo o potremmo fare per riparare il torto arrecato? Pensiamo a quale carico di emozioni positive ci porterebbe, sapere che quelle persone non ce l’hanno più con noi. Siamo pronti a far vivere le stesse emozioni a qualcun altro?
- Scriviamo su un foglio la nostra decisione di lasciar andare il rancore e la negatività. Descriviamo il percorso compiuto, perché…
- … ci sarà il momento in cui la rabbia ritornerà. In quel momento, riprendiamo il quaderno dove abbiamo parlato della nostra intenzione al perdono e riviviamo le emozioni positive che abbiamo provato per la semplice messa in atto di un processo decisionale.
I benefici del perdono
Perdonare il “vecchio lavoro” – il vecchio capo, i colleghi, l’azienda – è fondamentale per aprirci all’ambiente e alle relazioni in modo più creativo, innovativo e fiducioso. Queste sono proprio le competenze che servono per cogliere le nuove opportunità, non solo lavorative.
Solo dopo aver aperto la strada al nuovo, sarà possibile farsi la domanda successiva: qual è il nuovo che voglio portare nella mia vita?
Perché è bene saperlo: nessun percorso di coaching funzionerà mai se non siamo seriamente intenzionati a smettere di rimuginare compulsivamente sul passato.