Talento? Già, ma a cosa serve? E a chi?
Associamo il talento a personalità eccellenti, uno per tutti Leonardo Da Vinci, pittore, letterato, ingegnere, o controverse come Caravaggio, sempre tentato dal Lato Oscuro.
Immanuel Kant teorizzava che “Il genio è il talento (dote naturale) cha dà la regola all’arte. Poiché il talento, come facoltà produttiva innata dell’artista, appartiene esso stesso alla natura, ci si potrebbe esprimere anche così: il genio è la disposizione innata dell’animo (ingenium), mediante la quale la natura dà la regola all’arte”.
Abbiamo un’idea romantica del talento che spesso si rivela essere uno degli scogli più significativi nei percorsi di coaching. I coachee oscillano spesso tra il “non ho nessun talento” e “ho un grande talento ma a nessuno interessa”.
Per questo voglio proporre un approccio diverso. Immaginiamo che individuare e sviluppare il talento sia un problema da risolvere con approccio matematico deduttivo. Se nel coaching quando parliamo di talento intendiamo una “predisposizione allenata” in qualsiasi campo delle abilità umane (pensiero logico matematico e intelligenza emotiva), il compito del coach è accompagnare il coachee a prenderne consapevolezza, aiutarlo ad impostare l’allenamento e a valorizzarlo.
Come per la risoluzione dei problemi logici partiremo da cinque postulati fondamentali che aiutano a definire il perimetro del percorso.
Siamo abituati a pensare che sviluppare il talento sia la suprema forma di realizzazione umana e siamo anche consapevoli che il talento è patrimonio di ogni individuo.
I postulati per una teoria del talento
Il postulato è una proposizione che, senza essere stata preventivamente dimostrata come vera, viene assunta come se lo fosse al fine di giungere logicamente alla verità di una qualche asserzione. È la base di partenza, “la proposizione prima da cui parte la dimostrazione”.
Ecco i postulati dai quali partire:
1. Principio di realtà
Ovvero “il talento non è distribuito equamente tra gli individui”. Nella stessa parabola dei talenti (nel Vangelo secondo Matteo 25,14-30) si sottolinea come il talento non sia un bene democraticamente distribuito e come a ogni individuo sia richiesto di lavorare “con quello che ha”. A un grande talento corrisponde una grande responsabilità perché non esiste di peggio che mortificare le nostre possibilità. È importante essere consapevoli del proprio talento ma è altrettanto importante (e spronante) essere in grado di apprezzare in modo equilibrato la qualità e il livello. Ad esempio avere talento per il canto, non necessariamente significa avere l’estensione vocale di Mina.
2. Principio di molteplicità
Ovvero “in ogni individuo coesistono più talenti”. Non esistono individui con un solo talento, è necessario lavorare e allenare in nostri talenti in modo sinergico per comporre un mix unico e potenziato. Ad esempio saper ascoltare e saper parlare sono due talenti fondamentali per un coach, ma non possono prescindere l’uno dall’altro. Né possono essere distinti dalla capacità di analizzare la realtà o di costruire un metodo.
3. Principio di sviluppo
Ovvero “Il talento deve essere allenato”. Quando si individuano i talenti, è necessario investire energia e tempo nel loro sviluppo. Il talento in fieri è una suggestione che non contribuisce alla nostra realizzazione e che agita davanti ai nostri occhi lo spettro dell’inutilità. Ad esempio il talento presunto per la cucina non sarà mai “provato sul campo” se per pigrizia o mancanza di tempo sono dipendente dai take away.
4. Principio di visibilità
Ovvero “Il talento deve essere mostrato”. Accade spesso nella fase di individuazione dei talenti, che la percezione sia quella di aver avuto un’illuminazione. Non per questo dobbiamo pensare che il talento grande o piccolo che sia ci circonfonda di una luce abbagliante! L’idea romantica che se possediamo un talento sarà così evidente da non poter essere ignorato è pericolosa e rischia di impegnare molte energia nell’attesa che qualcuno “ci veda”. Ad esempio se il mio talento è correre molto veloce, nessuno potrà accorgersene se non gareggio in una corsa.
5. Principio di necessità
Ovvero “Il talento deve essere la risposta a un bisogno”. Esercitare i talenti è la via per realizzarsi, ma il talento è un “bene comune” e deve essere messo a disposizione della nostra comunità. Capire come sviluppare i nostri talenti in modo che siano la risposta a un bisogno ci rende membri di una realtà più grande e ci fa sentire in sintonia con l’universo. Ad esempio divulgare le scoperte scientifiche crea la base per il lavoro di altri scienziati concorrendo allo sviluppo di un concetto più ampio di talento, dall’individuo all’umanità intera.
A partire da questi postulati, sarà il percorso di coaching a stabilire i passi e le strategie da seguire. La relazione co-creata tra coach e coachee regalerà soluzioni e risposte appropriate e “tagliate su misura”.
E tu? Hai deciso di quali talenti vuoi brillare?