Se state leggendo questo post, molto probabilmente siete già in cammino o state per compiere un percorso: intendo dire che avete iniziato a sentire l’urgenza del cambiamento, della consapevolezza che si può vivere meglio. Come un gruppo di viandanti raccolti alla sera attorno a un fuoco ad ascoltare storie, ora vorrei anche io raccontarvi qualcosa e consegnarvi alcuni piccoli indizi che spero vi possano aiutare.
1. Obiettivi e lunghezza focale
Lungo il cammino che si intraprende per diventare la persona che si vorrebbe essere, o anche solo per rimanere la persona che si è ma con qualcosa in meno, è molto più facile proseguire se si sa dove si vuole arrivare, ovvero: definite la meta. Meglio essere il più concreti possibile: “Voglio stare bene” non vuol dire niente, pensate a cosa vi fa stare bene. Ma questo non è sufficiente, è utile anche sapere chi siete e gli strumenti che avete a disposizione: se avete scarponi e ramponi potrete raggiungere grandi vette ma non riuscirete ad attraversare il deserto; capire se siete sprinter o maratoneti aiuta a comprendere come fare per raggiungere un dato traguardo, che allenamento e tecnica usare. In poche e semplici parole: cercate di capire chi siete e chi volete essere, se potrete mai diventarlo e che cosa occorre per farlo.
2. Flex is more
Su una parete del MUSE, il Museo delle Scienze di Trento, c’è questa frase che ho fotografato e conservo stampata in mezzo alla mia agenda, erroneamente attribuita a Darwin come potete leggere in questa pagina del Darwin Correspondence Project della University of Cambridge: It is not the strongest of the species that survives, nor the most intelligent; it is the one most adaptable to change (Non è la specie più forte che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più ricettiva ai cambiamenti). Sono molti i cammini che si possono seguire per raggiungere un determinato obiettivo. Se capite che uno non fa per voi, cambiate strada, mutate strategia, tornate indietro a prendere un altro bivio. Riassumendo: definite solo la meta, e non incaponitevi sulla strada per raggiungerla, di vie ce ne sono molte per il viandante intrepido.
3. La meta è camminare
Il mio grande pericolo e ostacolo che ho incontrato lungo il cammino è stato: la ricerca dell’assoluto. In poche parole mi è successo questo: raggiunta la mia meta, dopo un po’, ho trovato che là dove ero arrivata non era proprio come volevo e quindi ho trovato un nuovo obiettivo; raggiunto quello ho scoperto che dopo un po’ non andava bene e allora ne ho identificato un altro, ma anche questo non si è rivelato quello perfetto e così ho continuato. Stavo bene solo durante il tragitto e appena arrivata iniziavo a sentire crescere una sorta di irrequieta insoddisfazione. Alla fine mi sono chiesta perché stavo bene solo in marcia e ho capito che era proprio quello che facevo lungo il percorso che mi faceva stare bene: gli esercizi, le abitudini acquisite erano quegli strumenti che mi davano benessere e mi permettevano di essere la persona che desideravo, ma una volta giunta alla meta pensavo di non averne più bisogno e li abbandonavo. Così nel tempo ho individuato quei comportamenti, quelle abitudini che sono per me portatori di benessere e cerco di mantenerli vivi sempre. Non mi viene spontaneo e non è sempre semplice in un quotidiano molto movimentato come quello di tutti noi, ma è essenziale. In sintesi: tutto quello che imparate e scoprite lungo la strada è l’obiettivo, il fatto che poi raggiungiate la meta prefissata è una sua naturale conseguenza.
4. Scialla
A un’analisi più sottile di questo mio continuo spostare l’obiettivo, mi sono accorta che non sono mai diventata la persona che volevo essere perché ogni volta trovavo qualcosa di me da correggere, da migliorare, da eliminare, una specie di nevrosi di auto-esigenza. Ma il percorso del lavoro su di sé diventa inutile e non funzionale se finisce per coincidere e identificarsi con quello da cui ci stiamo allontanando. La mia irrequieta insoddisfazione nei confronti di molte cose si era trasformata in una irrequieta insoddisfazione nei confronti di me stessa, e continuavo a fare corsi e percorsi come se fossi qualcosa da aggiustare e correggere. Lo sapevo che il segreto stava nell’accettazione, nel mollare le aspettative e nell’essere indulgente con me stessa ma non capivo esattamente come fare e cosa volesse dire. Continuavo a ripetermi: “Ma perché a un certo punto succede che sento come un buco all’altezza dello sterno? Una specie di malinconia che non so da dove viene e cosa farmene? Come posso fare per chiudere quel buco? Per scacciare quel sentire?” Poi, come spesso mi accade, è arrivata in soccorso la pasticceria: “E se avessi un buco perché sono una ciambella?”. Allora ho capito: non dovevo accettare gli aspetti della mia vita che mi rendevano insoddisfatta, dovevo accettare il mio essere una ciambella, il mio avere dei momenti di irrequieta insoddisfazione, io ero e sono anche questo. Alla fine: la persona che sei è perfetta così com’è e in quanto persona è molte cose assieme, quindi essere una ciambella va benissimo e non esclude di avere una farcitura, una glassa, una decorazione, un aroma, una granella e mille altre cose.