Gestione o cooperazione

Le emozioni sono un argomento complicato, così complicato che a livello scientifico ancora si dibatte sulla loro esatta definizione, sulla loro natura, su quale siano quelle primarie, quelle secondarie. Insomma, se neppure gli esperti riescono a mettersi d’accordo, come possiamo pensare noi di poterle capire e di vivere una vita non alla loro mercé? Su una cosa, però, gli esperti sono quasi tutti in accordo: le emozioni non sono uno stato, ma sono un processo; questo vuol dire che hanno diverse componenti e che possono variare e modularsi nel tempo. Metaforicamente potrei dire che le emozioni sono come un organismo, un organismo complesso, che nasce, vive, si trasforma, a volte si riproduce, e poi muore. Mi viene in mente la metafora che il filosofo mistico Georges Ivanovi Gurdjieff usava per descrivere l’essere umano. L’immagine che Gurdjieff proponeva era quella della carrozza: dove il mezzo corrisponde al corpo, il cocchiere alla mente e i cavalli alle emozioni. Ma non sono loro che governano la carrozza. Per muoversi, infatti, la carrozza ha bisogno di un altro elemento: il passeggero, che dice dove andare al cocchiere, che conduce i cavalli, che muove il mezzo di trasporto, che al mercato mio padre comprò (scusate non ho resistito). Ma chi è il passeggero? Il passeggero ha molti nomi: coscienza, presenza, io, oppure anima, spirito, soffio vitale. Insomma Gurdjieff ci dice che se il passeggero dorme, c’è il rischio che il cocchiere vada dove gli pare e piace, o che i cavalli prendano una strada diversa, o che le ruote della carrozza decidano di fermarsi. La sua raccomandazione è quella, quindi, di stare svegli e mantenere il nostro io vigile per evitare che la nostra testa, le nostre emozioni o il nostro corpo ci portino dove vogliono loro.

Le nostre emozioni sono quindi il cavallo o i cavalli della nostra carrozza. Se parlate con qualsiasi persona abbia praticato equitazione, a qualsiasi livello e in qualsiasi disciplina, vi dice che si vince assieme al proprio cavallo, che bisogna creare una sinergia e una grande complicità, che si fa una buona gara quando c’è piena collaborazione e unione fra cavallo e cavaliere. Penso sia anche per questo motivo che quando si parla di gestione delle emozioni io istintivamente mi irrigidisco. Mi immagino sempre che qualcuno mi dia un pacco esplosivo e mi dica: «Ecco, queste sono le tue emozioni, devi gestirle». Ma le emozioni non sono una bomba e non sono qualcosa che dobbiamo imparare a gestire, a controllare, a disinnescare. Le emozioni sono una parte di noi potente, con cui possiamo e dobbiamo imparare a collaborare, per fare della nostra vita una bella gara. Le emozioni sono un bel cavallo che dobbiamo imparare a conoscere e rispettare. Dobbiamo smettere di pensare da cocchiere e iniziare a metterci nei panni del cavallo, non ostacolando la sua indole, ma amplificando le sue potenziali capacità. Insomma, solo se iniziamo a capire la nostra parte emotiva, possiamo dar via a una cooperazione con le nostre emozioni per perseguire un obiettivo comune.

La cosa che, in realtà, mi piace di più di questa metafora è che il cavallo è considerato comunemente un animale bello e nobile. Penso che questa sia una delle lezioni più importanti: le nostre emozioni sono belle, tutte. Sono belle perché sono funzionali alla nostra sopravvivenza, alla sopravvivenza del nostro io, del nostro inconscio. Anche quelle che riteniamo più distruttive, se le osserviamo attentamente, possiamo scoprirle come meccanismo che il nostro inconscio mette in atto per tutelare se stesso. Ho nutrito per anni una forma di insofferenza a certe situazioni, insofferenza che poteva sfociare in vera e propria irritazione, e mi colpevolizzavo molto per queste emozioni, le vivevo come qualcosa da nascondere, come qualcosa socialmente sconveniente e, peggio di tutto, come un mio aspetto negativo. Mi dicevo: «Una persona centrata e che mira alla gentilezza non si arrabbia». Purtroppo solo pochi anni fa ho scoperto che la rabbia mi ha salvato la vita, mi ha permesso di affrancarmi da quei contesti e da quelle condizioni, mi ha spinto a seguire desideri profondi e mi ha aiutato a non perdere la rotta. Ora ad esempio la uso come campanello di allarme, quando sento che sta arrivando capisco che sono in una situazione che reputo pericolosa e da cui devo allontanarmi. Solo ascoltandola e capendone il suo potere, posso evitare che la rabbia diventi ira.

La mia rabbia è mia amica. A questo segue un altro passo. Dopo aver osservato, compreso e accolto quelle che sono considerate emozioni negative come la rabbia, la paura, l’invidia, il disprezzo, posso permettermi la possibilità di agirle con consapevolezza e quindi di trasformarle. Se agisco con consapevolezza la mia rabbia, questa può trasformarsi e diventare il carburante della nostra assertività; la paura diventa strumento di concretezza; l’invidia percorso di scoperta dei propri desideri e delle proprie insicurezze; il disprezzo un’occasione per capire cosa l’immagine dell’altro rimanda a noi stessi di non ancora integrato. Non dico che sia facile, non dico neppure che sia breve, dico che è la strada per non essere schiavi delle nostre emozioni, per non reprimerle rendendoci infelici, per ricordarci sempre che siamo altro oltre quello che proviamo, che siamo altro oltre quello che facciamo, che la nostra identità non coincide con il nostro sentire, con il nostro fare e neppure con il nostro pensare. Perché siamo tutte queste cose assieme, che oltretutto interagiscono fra loro, e personalmente mi piace pensare che siamo anche molto di più.

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Autore: Vera Martinelli

Credo nella precisione scientifica della pasticceria, nella mia amata Bologna, nell’epica dello sport, nella necessità di ozio, nei rossetti rossi, nei film francesi, in Cocò Chanel, nei fumetti di Little Nemo, nell’alchimia come sentiero di crescita personale, nell’importanza della musica inglese, nella ricerca continua, nei musical al cinema, nel cambiamento, nella supremazia felina, nei percorsi non lineari, nei whisk(e)y torbati, nella luce radente di Caravaggio, nell’ironia e nella leggerezza, in Gino Bartali, nell’assoluta perfezione di tutto ciò che a prima vista appare imperfetto, nella forza e nel suo lato oscuro, nell’almeno il 5% di buono presente in ciascun individuo, nella meditazione, nei passatelli in brodo, che la bellezza salverà il mondo, che la fantasia è un posto dove ci piove dentro e che la narrazione abbia un potere salvifico. Ho fatto molti lavori e alla fine ho capito che avevano tutti a che fare con le persone. Dopo anni di timori ho ammesso a me stessa che volevo che proprio le persone diventassero il mio lavoro. Sto cercando di diventare coach e mentre allevo due giovani padawan studio psicologia perché il sapere non ha mai fine.

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