Cosa significa essere emotivamente intelligenti? Quali sono le caratteristiche che distinguono una persona con una forte intelligenza emotiva da una che ha invece un grosso deficit? Quali i percorsi che portano a una maturazione della gestione dei propri sentimenti?
Forse non sapevi che la parola emozione, nella sua accezione storica, ha il significato di “muovere”, inteso sia come movimento fisico che dell’animo. Quando proviamo un’emozione dentro di noi sta avvenendo un movimento che sconfina dalle nostre sensazioni consuete; la nostra psiche è sottoposta a uno scombussolamento: si ride anche se si è indisposti, si versano lacrime di gioia, avviene tutto e il contrario di tutto.
Questo è molto positivo e liberatorio quando si è al concerto della propria band preferita o ci si commuove guardando un film.
Prova a pensare, però, se gli stati d’animo di una persona avessero sempre il sopravvento su di essa: sarebbe impossibile regolare la propria vita, e con questo voglio dire che sarebbe tanto faticoso non lasciarsi sommergere dalle proprie emozioni quanto essere in grado di relazionarsi con le persone a noi vicine o con le quali intratteniamo rapporti formali.
Essere emotivamente intelligenti vuol dire essere in grado di riconoscere le proprie emozioni, senza parlare generalmente di “ansia” o “gioia” o “paura” o “insicurezza”, ma avere anche l’abilità di individuare i sintomi che derivano da tali stati d’animo, interiorizzarne la conoscenza e riconoscerli, impedendo in tal modo che ogni volta che si manifestano restiamo spiazzati in balia dei loro effetti.
Secondo Alain de Botton, “Quando parliamo di intelligenza emotiva ci riferiamo all’abilità di un individuo di capire come funzionano gli ingranaggi delle emozioni. Intendiamo la sua capacità di introspezione e comunicazione, di lettura degli umori altrui, la pazienza, l’empatia e la comprensione anche nel relazionarsi con i lati meno edificanti del prossimo“.
I pilastri dell’intelligenza emotiva
Adesso che abbiamo un quadro abbastanza chiaro di che cosa sia l’intelligenza emotiva, vediamo quali sono i pilastri su cui poggia, e su cui bisogna lavorare per diventare emotivamente intelligenti. Ecco quali sono:
- Resilienza
- Ottimismo
- Empatia
- Autoconsapevolezza
- Bisogni e desideri
Resilienza e Ottimismo
Aziende dell’hi-tech, guru delle più disparate filosofie di vita, persino i tuoi amici e conoscenti hanno sempre in bocca la parola “resilienza” quando si tratta di far fronte a una difficoltà o superare un fallimento. Ma di cosa si tratta realmente?
La resilienza è la capacità di un individuo, di superare un evento traumatico o una difficoltà.
Sicuramente avrai sentito la famosa frase “Tutto ciò che non ti uccide ti fortifica”. Prova a pensare alla gramigna, una pianta molto comune che si trova in quasi tutti gli ambienti. Questa erbaccia affronta quattro stagioni, di cui due molto impegnative: dalla pioggia e il freddo dell’inverno alla secchezza dell’estate, eppure resiste alle intemperie del tempo e ritrova un clima a lei più congeniale in primavera e in autunno.
Perché questo esempio preso dall’ambiente floreale? Perché è così che sono le persone resilienti: potranno perdere dei pezzi nel corso del tempo, ma sanno di avere il gambo ben piantato nel terreno, anche quando pensano di essere in balia di eventi che non possono controllare.
Una spinta propulsiva alla resilienza può venire dall’inclinazione a essere positivi: ottimismo, infatti, non significa semplicemente vedere le cose da una prospettiva distorta che vede raggi di luce in una giornata nuvolosa; il bicchiere lo si può vedere mezzo pieno o mezzo vuoto, ciò che conta è che il bicchiere c’è! Allora, tanto vale darsi da fare per riempirlo il più possibile.
In altre parole, essere ottimisti dal punto di vista dell’intelligenza emotiva significa guardare al meglio senza tralasciare di prepararsi al peggio.
Empatia e Autoconsapevolezza
Scavare all’interno del proprio Io per capire se stessi può sviluppare in noi una sensibilità che si estende ben oltre le proprie fragilità emotive per arrivare a quelle degli altri.
Il primo passo consiste proprio nel riconoscere cosa stiamo provando, dare un nome o una forma alle nostre fragilità. Winston Churchill, ad esempio, era solito attribuire alla sua depressione l’immagine di un grande cane nero che lo seguiva dovunque come fosse la sua ombra. Non si sa con certezza se l’ex primo ministro britannico si sia mai disfatto di questo pesante fardello; tuttavia, la sua suggestiva allegoria ci deve insegnare che un problema, specialmente se grande e difficile da affrontare, va guardato in faccia, studiato, capito. Ecco che, allora, avremo compiuto il primo passo verso l’autoconsapevolezza.
Nel campo dell’intelligenza emotiva, essere autoconsapevoli vuol dire essere in grado di sapere che emozione si sta vivendo nel momento stesso in cui ne si è pervasi.
L’autoconsapevolezza delle proprie emozioni è l’elemento costruttivo essenziale di un altro importantissimo aspetto dell’intelligenza emotiva, ossia la capacità di liberarsi di uno stato d’animo negativo. A questo proposito, gli psicologi John B. Mayer e Alexander Stevens sostengono che le persone siano classificabili in tre grandi categorie a seconda del modo in cui percepiscono e gestiscono le proprie emozioni:
- gli autoconsapevoli
- i sopraffatti
- i rassegnati
Facciamo finta che le pulsioni emozionali che ribollono dentro di noi siano come un fiume impetuoso da attraversare.
Gli auotoconsapevoli conosceranno bene il fiume da guadare, i massi più grossi a cui eventualmente appigliarsi per andare avanti, i tratti in cui la corrente è più forte, quello in cui è più favorevole, e così via.
I sopraffatti, invece, vi si tufferanno ad occhi chiusi in preda alla foga di arrivare dall’altra parte (per restare nella metafora, l’altra parte corrisponderebbe all’ “attraversamento” dell’emozione). È facile immaginare come si concluderà la storia.
I rassegnati sono una tipologia molto particolare: anche loro, come gli autoconsapevoli, conoscono bene i pericoli e le difficoltà che il fiume presenta, tuttavia non si adopereranno nella stessa maniera per domarlo, ma si lasceranno vincere dalla sua forza, quasi con indifferenza, come se a trascinare la propria esistenza sia solo il corso delle emozioni.
Giunti a questo punto, è ovvio che quanto maggiormente autoconsapevoli siamo di fronte alle nostre emozioni, tanto riusciremo ad essere empatici.
Bisogni e Desideri
Quanto i nostri bisogni e i nostri desideri sono il prodotto di una nostra esigenza interiore e quanto invece sono indotti dall’esterno? Riuscire ad allinearci con i nostri bisogni e desideri autentici è fondamentale per migliorare la qualità della nostra vita.
Il delicato equilibrio tra domanda di desideri appagati e concreta offerta da parte del sistema sociale in cui ci troviamo a operare è stato l’oggetto su cui lo psicologo americano Abraham Maslow ha disegnato la cosiddetta “Piramide dei bisogni”. Al vertice di questa piramide si trova il bisogno di un completo sviluppo del potenziale che ciascuno di noi può e vorrebbe esprimere, alla base i bisogni fisiologici e la sicurezza.
Se dovessimo affiancare le più grandi aziende del mondo alla piramide, scopriremmo che soddisfano i bisogni collocati alla base. Se quindi da una parte siamo costantemente riforniti di prodotti alimentari, vestiti, elettrodomestici sempre più intelligenti e autonomi, acqua calda, riscaldamento, macchine super accessoriate ecc, non è detto che questo ci renda veramente felici.
Per un futuro orientato alla felicità, le persone dovrebbero quindi imparare a concentrarsi sulle loro “storie”, sui loro reali bisogni e desideri: non solo quelli primari, ma soprattutto quelli che contribuiscono allo sviluppo del loro potenziale.