Conversazioni sul coaching: Micaela Terzi

Per le Conversazioni sul coaching di questo mese “giochiamo in casa”: abbiamo intervistato la nostra Business Coach Micaela Terzi. Online la trovi come ThePaperCoach: si occupa di Business, Intelligenza Emotiva e Life Design. In questa intervista ci racconta dell’importanza per un coach (e non solo) di avere una visione chiara e coerente.

Da quanto tempo sei coach e di che cosa ti occupi in particolare?

Sono diventata coach all’inizio del 2016, dopo aver frequentato il Master di Accademia della Felicità. Avevo esperienza in ambito Business perché avevo fondato due startup tecnologiche nelle quali avevo lavorato per circa 10 anni, e avevo partecipato a percorsi di formazione imprenditoriale sia in Italia che all’estero. Volevo misurarmi con la consulenza, e sulla mia strada ho trovato il coaching, che mi ha fornito strumenti utili per approcciarmi alle persone in maniera empatica e aiutarle a crescere insieme al proprio business.

 Quali sono secondo te gli aspetti su cui un coach deve lavorare e continuare a formarsi anche una volta diplomato? E quali sono utili da integrare anche in altre professioni?

Facendo coaching e consulenza anche nelle aziende vedo chiaramente quanto certe competenze potrebbero giovare all’ambiente lavorativo e ai manager, ma non solo. L’empatia e l’ascolto attivo sono due di queste. Ci sono anche altri aspetti più legati alla gestione del tempo, alla determinazione degli obiettivi o alla definizione della propria vision che credo siano importanti in ogni professione. Inoltre sono convinta che la formazione del coach debba essere continua e concentrarsi non solo sui temi che “vanno di moda” ma sugli argomenti che ci appassionano veramente e che crediamo possano far crescere noi come persone e professionisti, e anche contribuire a migliorare la nostra pratica. Io negli ultimi anni ho deciso di approfondire due temi che amo molto e che stavo studiando da tempo: quello dell’Intelligenza Emotiva (mi sono certificata EQ Assessor con Six Seconds) e quello del Design Thinking (a gennaio sono diventata Designing Your Life Certified Coach seguendo il programma di Stanford). Il coach lavora sul cambiamento: sarebbe assurdo pensare che ciò che si studia a inizio carriera non abbia bisogno di un aggiornamento costante!

Qual è l’aspetto della pratica del coaching che trovi più valido e utile?

Sono una persona estremamente pragmatica, e quello che mi ha attirato del coaching (e anche del modello di sviluppo dell’Intelligenza Emotiva di Six Seconds) è l’estrema concretezza. Nel nostro settore (nel Life come nel Business) c’è tanto bisogno di soluzioni pratiche e praticabili, non di fantomatiche “formule magiche” risolvi problemi. I percorsi di coaching prevedono esercizi e domande su cui riflettere: è il coachee per primo a dover “far fatica” per innescare il cambiamento che sta cercando. Il coach lo sostiene in questo, mostrandogli che esistono più soluzioni possibili ai suoi problemi, e aiutandolo a trovarle. Il coach non dà risposte ma facilita la comprensione di sé e dei propri desideri, ispirando le persone a darsi da fare per raggiungere i propri obiettivi. E lo fa in modo estremamente concreto, un passo alla volta, fino a portare il proprio coachee al traguardo desiderato (e oltre).

 Come vedi il futuro del coaching? Quali sono le sfide professionali che dovranno affrontare i coach (e in generale chi si occupa di professioni d’aiuto) nei prossimi anni?

Il coaching è spesso “sotto attacco” per diversi motivi. Nessun coach degno di questo nome pensa di potersi sostituire ad altre professionisti di aiuto, come ad esempio gli psicologi, o di poter trattare tematiche che non sono di sua competenza. Purtroppo la poca conoscenza della materia o a volte la paura di vedersi “rubare” una fetta di mercato crea fraintendimenti che portano a vedere la professione del coach come qualcosa di poco serio. In realtà i confini sono molto ben delineati e credo che noi coach per primi dovremmo rispettarli e farli rispettare. Dobbiamo lavorare in modo etico e responsabile se vogliamo avere maggiore credibilità e soprattutto generare un impatto importante. Le associazioni professionali stanno lavorando su questi temi tramite tavoli di discussione e lavoro, che spero porteranno a soluzioni concrete. Anche se sono convinta che la serietà professionale non sia garantita da certificazioni o ordini professionali: ciascuno deve dare il proprio contributo e operare in modo serio e trasparente.

C’è poi l’aspetto della “responsabilità” e dell’adesione alla propria visione. E questo vale per tutti i professionisti, non solo per i coach. Avere una visione chiara significa essere consapevoli del perché si fa questo lavoro e del contributo che si vuole portare nel mondo. Essere responsabili significa avere a cuore la propria professione e i propri clienti, lavorare nel migliore dei modi, studiare, impegnarsi a crescere. Fare quello che si fa nel rispetto dell’etica e della deontologia, che a volte vengono un po’ sottovalutate. Certo, lavoriamo tutti per guadagnarci da vivere, ma ricordiamoci che noi lavoriamo con le persone, e che le persone meritano tutta la nostra attenzione, devono essere al centro. Quando al centro del nostro lavoro c’è solo il profitto o il successo personale, le cose iniziano a “scricchiolare”. Mi auguro che chi si occupa di professioni d’aiuto sia sempre più consapevole e aderente alla propria visione, a quel “perché” che lo ha spinto a formarsi in questa direzione e che dovrebbe essere la bussola di tutte le sue scelte. Non è un lavoro facile ma per me è bellissimo. E credo che sarà sempre più importante fornire ai coach e agli aspiranti tali occasioni di formazione di alta qualità. Non si diventa coach seguendo un weekend di lezioni, o business coach senza avere una base teorica e almeno un po’ di esperienza imprenditoriale. Formarsi costa fatica, ma credo che sia la condizione sine qua non per poter fare questa professione in modo serio, onesto e utile. L’approssimazione non giova a nessun e soprattutto non dura nel tempo…

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Autore: Redazione

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