Il tema della leadership femminile è ancora poco sentito in Italia. Non sono numerose le donne che se ne interessano, forse perché pensano che sia una questione per poche elette, per dirigenti o manager. Noi non la pensiamo così: crediamo che riguardi tutte le donne, lavoratrici e non. Perché ha a che vedere con il proprio potenziale, con il giusto compenso, con la valorizzazione del proprio ruolo e del proprio talento sul posto di lavoro, con una gestione del tempo più flessibile. Indipendentemente dagli obiettivi di carriera, queste sono tematiche che riguardano tutte le donne, e in Italia c’è bisogno di una forte dose di innovazione sociale. Perché sono ancora troppe le lavoratrici che a parità di mansioni vengono pagate meno dei colleghi uomini, o perché alla nascita di un figlio, lasciano il lavoro. Perché non riescono a conciliare impegni professionali con quelli familiari, perché nonostante la legge, al loro rientro non trovano più il posto di lavoro; oppure, semplicemente perché così hanno fatto le loro madri prima di loro.
Per questo abbiamo deciso di lanciare una nuova rubrica: si chiama Wonder Woman, ed è dedicata a donne che sono riuscite a costruirsi un ruolo di rilievo in ambito lavorativo e oggi possono essere un esempio per le altre lavoratrici.
La prima persona che abbiamo intervistato è Susanna Bellandi, CEO FutureBrand Milan & Paris, President FutureBrand EMEA , che ci ha raccontato la sua esperienza come professionista e come manager.
«Mi occupo di comunicazione in un settore creativo, dove forse è più facile per una donna fare carriera», attacca, ridimensionando i suoi meriti (caratteristica molto femminile), ma si deve ricredere immediatamente: «Effettivemante, sono l’unica del mio sesso a far parte del top management».
Dopo aver lavorato 15 anni come creativa in pubblicità, viene nominata nel 2003 Managing Director, e nel 2009 CEO dell’azienda e Presidente dell’area che comprende l’Europa, il Medio Oriente e l’Africa. Ruolo molto prestigioso per una donna.
«Non ho seguito un modello nel mio lavoro. Penso di essere arrivata dove sono ora, perché non ho perso tempo a elaborare strategie per emergere. Non ho mai sgomitato. Mi sono sempre concentrata sui miei obiettivi da raggiungere, senza distrarmi. E questo è il consiglio che mi sento di dare alle donne che mi chiedono dei suggerimenti per le loro carriere. Non disperdete le vostre energie in giochini e competizioni poco produttive, focalizzatevi sul vostro percorso. Chiedetevi dove volete arrivare ed elaborate il tragitto per arrivarci». Sembra facile, ma già qui emerge un problema: molte donne non ragionano per obiettivi. Vivono il lavoro alla giornata, senza porsi dei traguardi da raggiungere. Quindi, da questo punto di vista, le donne devono sforzarsi e imparare a concepire il proprio lavoro in termini di step.
«Devono chiedersi come fare ad arrivare da qui a là, e chiedersi che cosa è là. Qui in FutureBrand abbiamo un sistema di valutazione del lavoro svolto annualmente e ci fornisce nuovi obiettivi da raggiungere. Ma è una tecnica che si può adottare anche a livello personale, che si può fare in modo autonomo, con un sistema di autovalutazione. E questo è un ragionamento che si può fare in ogni caso, indipendentemente da altri impegni, da altre decisioni. Anche io ho una famiglia, un figlio, ma non ho mai smesso di lavorare. È una questione di organizzazione: il mio stipendio manteneva la baby sitter». Secondo Bellandi, quindi, il problema è a monte. «Ha a che vedere con lo stile di vita di ciascuna di noi, con il modello femminile che si vuole riprodurre. Io ho sempre pensato che avrei lavorato, non è mai stato in discussione. E per me, essere realizzata, significa lavorare, oltre che avere una bella famiglia e dei fantastici figli».
Carriera, lavoro, famiglia, figli: dei termini che qui in Italia non sembrano andare molto d’accordo, dove il work life balance stenta ad affermarsi. Come si pone come manager su questo argomento? «Il modello maschile prevedeva che bisognava fermarsi fino a tardi in ufficio, per dimostrare che lavoravi tanto. Oggi non è più necessario. Qualcosa comincia a cambiare. Io lavoro tanto, da sempre, ma cerco sempre di cenare con la mia famiglia. Esco dall’ufficio a un orario decente e poi magari la sera, a casa, riapro il computer e finisco i lavori in sospeso. Ma non mi aspetto che lo facciano i miei sottoposti. Sono molto flessibile e democratica, e tendo a responsabilizzare chi lavora con me. Non voglio che facciano tardi la sera, ma non devono lasciare i colleghi in panne. Questa è un regola base. Ognuno è responsabile del suo lavoro. E io sono convinta che come modello paghi: le persone sono più felici, soddisfatte, e i risultati sul lavoro sono migliori. Cerco di instaurare un clima positivo, che crei un circolo virtuoso. E sono molto attenta alla valorizzazione delle singole persone: voglio che ciascuno dia il meglio di sé, per questo sono una sostenitrice del coaching e della formazione aziendale. Se qualcuno è in difficoltà, sta attraversando un periodo negativo, va aiutato e sostenuto. Sono variabili fondamentali, che influenzano il clima aziendale, le relazioni, la qualità del lavoro e non devono essere lasciate al caso». Una visione dell’ufficio centrata sulle persone, sull’espressione del talento, e sulle qualità soggettive. «Penso che oggi ci siano i presupposti per cambiare cultura e approccio. Ma deve partire da noi donne: dobbiamo essere in tante a farlo, e dobbiamo convincere altre donne. Insieme, in tante, possiamo cambiare le cose».